Se la diplomazia energetica nipponica non è green. E l'incidente a Fukushima ha complicato le cose

Dal 1997, anno della firma del Protocollo di Kyoto, l'annunciata svolta verso le fonti rinnovabili non c'è stata. E l'incidente nucleare a Fukushima nel 2011 ha complicato ulteriormente le cose

Se la diplomazia energetica nipponica non è green

La diplomazia del Giappone in materia di energia sta creando un “collo di bottiglia” nei colloqui sul clima internazionale e il Paese del Sol Levante rischia di restare al palo nel boom globale dell’energia verde. Lo afferma un panel qualificato di nove membri – leader aziendali, ricercatori e ambientalisti – che ha chiesto al governo giapponese di ripensare la scala delle priorità energetiche visto che finora i suoi sforzi si sono indirizzati per assicurare risorse ai combustibili fossili e non alle rinnovabili.

La situazione è così seria che il ministro degli Esteri Taro Kano l’ha recentemente descritta come “deplorevole”. Dal 1997, anno del Protocollo di Kyoto che stabilì per la prima volta obiettivi di emissione legalmente vincolanti per i paesi sviluppati, il Giappone dopo un iniziale slancio green non ha proseguito verso le rinnovabili in modo deciso e agli occhi della comunità internazionale la sua dipendenza dalle fonti fossili appare evidente.

Dipendenza enfatizzata anche dal fatto che il tema dell’energia nucleare, dopo l’incidente di Fukishima, ha creato un impatto di vasta portata sul settore: attualmente sono in funzione solo 5 dei 40 reattori nucleari operativi, perché gli operatori devono affrontare sfide legali e ostacoli normativi.

Il panel di esperti ritiene che il governo giapponese debba imboccare la strada della decarbonizzazione coinvolgendo le società nazionali, i comuni e le Ong; e al tempo stesso promuovere modelli di energia rinnovabile. La revisione della politica energetica in Giappone è un’azione che la comunità internazionale sta aspettando: la diplomazia nipponica in materia di energia dovrà cambiare passo.

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