Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio è volato in Algeria, in delegazione con l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, per incontrare le autorità algerine al fine di rafforzare la cooperazione in campo energetico alla luce del conflitto in Ucraina. Tra gli obiettivi del governo italiano c’è l’aumento del flusso di gas dall’Algeria per compensare i flussi a rischio dalla Russia.
L’ipotesi è stata accolta dal colosso pubblico algerino degli idrocarburi Sonatrach che si è detto pronto a fornire più gas all’Europa, in caso di calo delle esportazioni russe con la crisi Ucraina, veicolandolo attraverso il gasdotto Transmed che collega l’Algeria all’Italia.
Il paese nordafricano fornisce l’11% del gas importato dall’Ue. L’Italia, dal canto suo, ha importato nel 2019 complessivamente 71 miliardi di Smc di gas dei quali poco meno del 20% dall’Algeria.
Premettendo che in economia la diversificazione del rischio è chiaramente considerata una mossa saggia, il problema non è tanto l’import in quanto tale, quanto il fatto di affidarsi a paesi in cui la democrazia non è compiuta. E, in tal senso, tra la Russia e l’Algeria non c’è una differenza sostanziale sul piano delle democrazie compiute.
Il problema è che affidarsi a Stati semidittatoriali espone i paesi importatori, come l’Italia, a una serie di rischi. La lezione russa è talmente fresca e cocente che non può essere ignorata. Il che ci riporta al concetto iniziale: non sempre diversificare il rischio significa ridurlo.