Avere pene pecuniarie uniformi per tutti, indipendentemente dal reddito, concede ai più ricchi la possibilità di “comprare” il diritto di violare la legge? Una recente proposta del viceministro delle Infrastrutture e dei trasporti, Galeazzo Bignami, prevede l’introduzione di sanzioni proporzionali al reddito, così come già succede in molti altri paesi, per esempio in Finlandia e Danimarca. Queste sanzioni sono definite ‘day fines’ perché sono espresse in giorni di reddito medio. Per esempio, un eccesso di velocità può essere punito con 15 giorni di reddito.
Alcuni studiosi sostengono che le day fines sono un modo per garantire una migliore (e più giusta) deterrenza e ridurre il ricorso a pene più costose dal punto di vista sociale (come il carcere), ma allo stesso tempo avvertono che la loro attuazione si basa su una valutazione, costosa e imperfetta, dei mezzi finanziari a disposizione di ciascun trasgressore prima della determinazione della sanzione da comminare.
Le ‘day fines’ sono spesso parametrizzate non solo al reddito, ma a un indicatore composito della capacità finanziaria, che tiene conto sia del reddito che della ricchezza complessiva (immobiliare e finanziaria) al netto di eventuali crediti e delle spese necessarie per il mantenimento della famiglia (per esempio, in Slovenia e Svizzera). La base per il calcolo è dunque una dichiarazione dei redditi già in possesso del fisco prima della violazione (come avviene in Finlandia), oppure rilasciata in sede di applicazione della sanzione e quindi dopo la violazione (come avviene in Germania). Ciò solleva problemi in paesi in cui l’evasione fiscale è particolarmente elevata.
Quest’ultimo risultato implica che in paesi con autorità fiscali inefficienti, dove cioè la verifica della ricchezza è molto difficile e costosa, le ‘day fines’ sono relativamente meno allettanti e quindi dovrebbero essere adottate solo quando la disuguaglianza è particolarmente elevata.