Mandare avanti il Paese con il 60% circa degli italiani a quasi totale carico del restante 40% e, in particolare, di quel 14% di cittadini che dichiara redditi da 35 mila euro in su incentrato sul pericoloso binomio meno dichiari e più avrai dallo Stato. È ciò che fanno da anni i vari esecutivi che si succedono in Italia.
E quindi meno tasse, meno contributi e più agevolazioni anche con distribuzione di denaro pubblico attraverso assegno unico per il nucleo familiare, sussidi, prestazioni assistenziali, bonus e Isee. Insomma, una grande redistribuzione di una torta sempre più piccola.
La politica di questi ultimi 15 anni non riesce nemmeno a verificare se le enormi somme ridistribuite dai pochi che le tasse le pagano ai tanti che vivono in groppa ai pochi, producano effetti positivi sull’economia oppure siano un metadone sociale che blocca la crescita dell’occupazione e del Pil.
Nel 2021 per le sole funzioni sanità, scuola e assistenza sociale la redistribuzione delle entrate fiscali (e del debito) ammonta a circa 194 miliardi (per capirci l’Irpef totale netta versata dai contribuenti ammonta a 175 mld), quindi ridistribuiamo più del gettito Irpef e Irap.
A fine 2017 il debito pubblico italiano era 2.256,1 mld. Ma siamo arrivati ai 2.863 mld di febbraio 2024. Il rapporto debito/Pil che negli anni 2004-2008 viaggiava tra il 103 e il 106% è schizzato al 137% ed il deficit al 7,4%.
In sintesi, il 44% circa degli italiani paga il 92,62% di tutta l’Irpef e il 100% delle altre imposte dirette e gran parte delle indirette (di questi il 15,27% ne paga oltre il 63,39%; dati sui redditi 2022), mentre il restante 53% ne paga solo il 6,31%. Per sostenere la sanità al 60% degli italiani che grazie ai provvedimenti dei governi di questi ultimi 15 anni pagano poco o nulle tasse, occorrono circa una sessantina di miliardi.
E poi: le retribuzioni non crescono? Nessun problema. Sconto fiscale totale e decontribuzione fino a 25 mila euro di reddito annuo. Ma si può andare avanti così?