L'accordo con Bruxelles ha un costo: 10 mld. La manovra ne esce ridimensionata

Per passare al 2,04% è stato necessario tagliare 10 mld. La cifra è stata ottenuta rimodulando le voci inserite nel bilancio. L’insieme delle misure proposte fanno scendere l’aumento del deficit strutturale dallo 0,8% previsto a ottobre ad un più modesto 0,2%. Ma resta il problema di una legge finanziaria basata troppo sulla spesa corrente

L'accordo con Bruxelles ha un costo: 10 mld

Un sospiro di sollievo. La borsa sale e lo spread scende. Dopo mesi di attacchi pesanti rivolti all’Ue alla fine è arrivato l’accordo. Ma a un prezzo salato: circa 10 miliardi. Tanto è servito per passare dal 2,4% al 2,04% nel rapporto deficit/Pil.

Inoltre la crescita inserita nella legge di bilancio passa dall’1,5% all’1%. Ciò significa che nel 2019 ci saranno minori entrate fiscali del previsto e, pertanto, un maggiore deficit atteso per il 2019. Secondo le stime della Commissione Europea, una crescita 2019 inferiore di mezzo punto di Pil rispetto al previsto vuol dire un deficit atteso che dal 2,4% cresce al 2,6% o 2,7%. Con quest’ultimo livello del deficit per andare giù al 2% auspicato dalla Commissione, ci vuole un aggiustamento di bilancio di circa 10 miliardi di euro.

La cifra è stata ottenuta rimodulando le voci inserite nel bilancio: 2 miliardi in meno da reddito e pensione di cittadinanza, 2,7 mld da quota 100, 1,4 mld derivanti da maggiori dismissioni immobiliari (da aggiungersi a quelle già promesse in precedenza a Bruxelles), ulteriori 3 mld arrivano dalla riduzione di dotazione di vari fondi destinati a finanziare le Ferrovie, lo sviluppo e la coesione territoriale, la parte nazionale del cofinanziamento di progetti europei. A tali riduzioni occorre poi aggiungere altri tagli minori. L’insieme delle misure proposte fanno scendere l’aumento del deficit strutturale dallo 0,8% previsto a ottobre ad un più modesto 0,2%.

La tregua raggiunta al posto delle sanzioni è un risultato assolutamente positivo. Resta pero’ il problema di una legge finanziaria basata troppo sulla spesa corrente. E continua a incombere la scure delle clausole di salvaguardia.

L'emendamento alla manovra presentato dal governo in commissione in Senato prevede aumenti Iva per 23 miliardi nel 2020 e quasi 29 nel 2021 e nel 2022. Come si evince dalla relazione tecnica, senza interventi l'aliquota ridotta del 10% passerebbe dal 2020 al 13%, mentre quella ordinaria (oggi al 22%) passerebbe nel 2020 al 25,2% e al 26,5% l'anno successivo. La proposta conferma la sterilizzazione "totale" degli incrementi nel 2019. Previsti anche aumenti delle accise da 400 milioni l'anno dal 2020.

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