Partiamo dal principio. L’ex capo economista dell’Fmi, Olivier Blachard, sostiene che il debito pubblico non sia un grosso problema se la spesa per interessi è inferiore alla crescita. E ritiene sia opportuno guardare al lungo periodo. Nel breve, il quadro è complicato: l’Italia è in stagnazione e spende quasi il 4% del Pil in interessi. Senza aumentare l’avanzo primario (il governo non appare intenzionato a procedere in tal senso), per ridurre il debito serve un Pil da Paese emergente. Ma il nostro paese non registra una crescita del 2% da 13 anni.
Non è tutto qui. “Se nessun Paese in 75 anni ha tagliato il debito aumentando il Pil, anche in deficit, vuol probabilmente dire che non funziona”, chiosa Carlo Cottarelli. Il premier Giuseppe Conte, però, non sembra vederla così: “Vogliamo ridurre il debito attraverso la crescita economica, il nostro obiettivo è la riduzione del debito e l’ho detto chiaramente, abbiamo bisogno di fare investimenti che ci consentano di orientare il paese verso lo sviluppo sostenibile e per una maggiore occupazione”, ha spiegato più volte Conte.
Negli ultimi 14 mesi, tuttavia, il presidente del Consiglio ha firmato (o contro firmato) tutti i provvedimenti che hanno contribuito ad aumentare la spesa pubblica. Anche quando era evidente che non sarebbero serviti a rilanciare l’economia (quota 100 e Reddito).
Non stupisce, dunque, che durante il governo Conte, da giugno 2018 a giugno 2019, il debito pubblico italiano sia aumentato – in termini assoluti – di 63 miliardi di euro. A questo, poi, va aggiunto il costo per la corsa dello spread nei quattordici mesi di governo gialloverde: l’Osservatorio conti pubblici di Cottarelli ha calcolato che le emissioni dell’ultimo anno faranno salire la spesa per interessi di 20 miliardi in 20 anni. Un ulteriore mattoncino sul già mastodontico debito italiano.
Se l’obiettivo fosse invece quello di ridurre il debito pubblico, sarebbe allora necessario puntare sulla cosiddetta “spending review” ed economia sommersa. Il solo aumento del Pil non basta.