
C’è un aspetto sul quale la Casa Bianca forse sottovaluta la forza dell’Europa. Una forza che può rivelarsi minacciosa per Trump, ovvero l’aumento dell’esposizione da parte di soggetti dell’Eurozona in titoli di debito statunitensi.
Nell’ultima decina di anni, l’esposizione di soggetti pubblici e privati dell’Eurozona sui titoli americani è quasi quadruplicata: erano 3.600 miliardi nel 2013, sono saliti a 13.100 mld nel 2024, quasi pari al Pil dell’area.
Gli europei hanno comprato di tutto: quote di fondi statunitensi, azioni di società quotate a Wall Street, debito di corporations, e del Tesoro.
Ad esempio, dal 2013 all’anno scorso, il valore delle azioni quotate a New York in mano a soggetti dell’Eurozona è salito da 1.800 a 6.500 mld.
C’è poi il debito pubblico. Dall’esposizione sovrana sugli Usa sia la Cina che il Giappone si sono progressivamente disimpegnati. Invece i titoli di debito federale statunitense in mano a soggetti dell’Eurozona sono saliti in modo esponenziale, in valore, da 197 mld di dollari nel 2006, a 653 mld nel 2013, fino a 1.452 nel 2023.
Oggi l’Eurozona è il principale creditore estero del maggiore debitore del mondo. Se l’Europa rallentasse gli acquisti (che viaggiano a poco meno di cento miliardi al mese, fra titoli nuovi e rinnovi di quelli scaduti), i tassi di interesse di mercato negli Stati Uniti salirebbero, il Tesoro statunitense andrebbe in difficoltà e l’economia probabilmente in recessione.
Oggi infatti ben un terzo del debito Usa è all’estero e su quello è l’Eurozona che, nella sostanza, determina gli equilibri.