Nel 2022, il debito pubblico globale scenderà al 91% del Pil. La diminuzione – secondo il Fondo monetario internazionale - è l’effetto della riduzione del disavanzo generato dalle misure anti-Covid, della ripresa economica dopo il crollo pandemico, che però è ormai in piena frenata e in qualche caso si è trasformata in recessione, e della fiammata dell’inflazione (che tuttavia concorre all’incremento dei costi di rifinanziamento).
Malgrado la netta discesa dal 97% del Pil del 2021 (e dal 99,2% del 2020), il debito pubblico globale risulterà comunque di circa 7,5 punti percentuali più alto rispetto ai livelli pre-pandemici, sottolinea l’Fmi.
Nel nuovo quadro di crisi che si è ormai consolidato, e che ha visto il Fondo abbassare le stime di crescita globale del 2023 al 2,7%, “i Governi devono proteggere le famiglie meno abbienti dalle grandi perdite di reddito reale e garantire loro l’accesso al cibo e all’energia. Ma devono anche ridurre le vulnerabilità generate dagli ingenti debiti pubblici – precisa l’Organizzazione con sede a Washington - e, in risposta all’elevata inflazione, mantenere un regime fiscale rigoroso, in modo che le misure di sostegno non operino in contrasto con la politica monetaria restrittiva”.
Rispetto a quest’ultimo aspetto, l’Fmi ribadisce: quando le Banche centrali raffreddano la domanda, con una dolorosa stretta sui tassi, i Governi non devono cercare di riscaldarla con politiche fiscali di senso espansivo. L’effetto sarebbe quello di prolungare la fase di alta inflazione, costringendo a maggiori sacrifici per domarla.