La tempesta economica che rischia di abbattersi sull’Europa incombe. E una domanda torna a circolare. C’è davvero bisogno e ci sono le condizioni (anche politiche dopo la crisi di governo in Italia) per un nuovo debito pubblico europeo dopo il Next Generation Eu? In altri termini, l’indebitamento europeo dovrebbe passare da straordinario a permanente?
Per affrontare le conseguenze economico-sociali della pandemia molti Paesi hanno non solo optato per politiche monetarie fortemente espansive ma anche per un inevitabile incremento della spesa pubblica. Di conseguenza il debito pubblico sul Pil ha sforato per la prima volta a livello mondiale la soglia del 100%.
Nell’Ue la media è passata da circa il 79% nel 2019 a quasi il 90% l’anno scorso, con alcuni Paesi a livelli altissimi (Italia sopra il 150%, ma anche Francia al 113%, oltre a Grecia al 193% e Portogallo al 127%). Al pari di Cipro, Grecia, Polonia, Portogallo, Romania e Slovenia, l’Italia ha accettato tutte le sovvenzioni del Recovery Fund (per circa 69 miliardi di euro) e ha anche scelto di prendere a prestito il massimo assegnabile (122,6 miliardi).
La guerra in Ucraina e le turbolenze della politica italiana stanno però cambiando drasticamente questa prospettiva. Con l’inflazione a livelli record da decenni, tassi di interesse che puntano verso l’alto e mercati finanziari sempre più in fibrillazione le prospettive di crescita si fanno sempre più basse. Non è un caso che mentre fino a inizio anno ci si poteva “dimenticare” dell’accresciuto debito pubblico, da maggio ormai lo spread tra i titoli italiani e quelli tedeschi viaggia intorno (e di recente è costantemente sopra) i 200 punti base.
Dopo un periodo di sostanziale inerzia, i mercati ricominciano a puntare i riflettori sul nostro debito pubblico. E non è un caso che la BCE, mentre annunciava i rialzi dei tassi di interesse, si sia affrettata a predisporre un ‘Trasmission protection instrument’ (il cosiddetto scudo anti-spread).
Se dunque l’opzione di un aumento del nostro debito pubblico appare non auspicabile e non percorribile stante il crescente nervosismo dei mercati (malgrado le misure adottate dalla Bce), rimane quella di un nuovo indebitamento comune. Ma per finanziare cosa? Non la spesa corrente, ma gli investimenti. Tra questi, per la sola transizione verde e digitale, la Commissione europea calcola che sono necessari 650 miliardi di euro addizionali all’anno fino al 2030.
Ciò che non può essere finanziato dai singoli Paesi per le finalità di cui sopra o che riguarda investimenti con caratteristiche prettamente europee (‘beni pubblici comunitari’ come le grandi opere infrastrutturali nel campo del digitale, dell’energia sostenibile, della difesa) potrebbe essere finanziato da un nuovo debito pubblico europeo.
Quindi il bisogno di un nuovo indebitamento c’è. Ma ci sono anche le condizioni? Queste dipendono dalla fiducia tra i Paesi membri. Il ministro delle Finanze tedesco Christian Lindner ha già detto che non accetterà un nuovo debito comune se prima tutti i soldi del Next Generation EU non saranno stati spesi, e bene.
Solo così si potrà creare un clima di fiducia che possa far accettare anche ai Paesi frugali l’idea di un nuovo indebitamento comune.