La Banca centrale argentina ha aumentato i tassi di interesse per la terza volta in otto giorni, poiché la valuta del paese, il peso, continua a diminuire drasticamente: ora sono al 40%. Il paese sudamericano è in piena crisi.
I tre incrementi sono volti a sostenere la valuta nazionale, che ha perso un quarto del suo valore nell'ultimo anno. L'Argentina si trova nel bel mezzo di un programma di riforme economiche a favore del mercato sotto la presidenza di Mauricio Macri, che sta cercando di invertire anni di protezionismo e alta spesa pubblica portati avanti dalla peronista Cristina Fernandez de Kirchner.
L'inflazione, un problema strutturale in Argentina, era al 25% nel 2017 (scesa rispetto al 40% del 2016), il tasso più alto in America Latina ad eccezione del Venezuela. Quest'anno, la banca centrale ha fissato un obiettivo di incremento dei prezzi al consumo inflazione pari al 15%.
Tuttavia, con una crescita alimentata dall’aumento del debito, l'Argentina è costretta ad affrontare comunque un futuro economico incerto. Il governo Macri ha alcune opzioni davanti a se per affrontare i rischi macroeconomici, ma nessuno di essi sarà esente da scelte dolorose. Eppure, a un primo sguardo, le prospettive macroeconomiche del paese potrebbero persino apparire brillanti. La crescita è salita dopo un periodo di stagflazione: lo scorso anno il Pil è aumentato del 2,9% su base annua. La ripresa è stata, però, foraggiata con il disavanzo delle partite correnti, che nel 2017 ha raggiunto il 4,6% del Pil, pari al 39% delle esportazioni totali dell'Argentina. Per stabilizzare il debito estero, l'Argentina dovrà conseguire eccedenze commerciali. Il modo migliore per farlo è aumentare la produzione di beni esportabili, piuttosto che attraverso una recessione che deprima le importazioni. Ma la partita è difficile.