L'Argentina si è appellata all'Fmi. Una linea di credito urgente, questo chiede a Washington il presidente Mauricio Macri nel tentativo di evitare un crollo finanziario e salvare la caduta verticale della moneta nazionale, il peso, contro il dollaro.
Durante l'annuncio, che ha subito riaperto la ferita mai chiusa della crisi del dicembre 2001, Macri ha spiegato che le condizioni internazionali sono mutate da quando ha assunto la carica a dicembre 2015. In effetti, durante i primi due anni della sua presidenza, l’Argentina ha potuto contare su un vento globale favorevole, ma che oggi ha smesso di soffiare: i tassi di interesse sono in crescita, così come il prezzo del petrolio, e le monete dei paesi emergenti sono state svalutate. “Sono tutte variabili fuori dal nostro controllo”, ha malinconicamente ammesso Macri.
La settimana scorsa la Banca centrale argentina ha aumentato i tassi d'interesse dal 33,25% al 40% nel tentativo di fermare lo scivolone della valuta nazionale. Ma non sembra sia servito ad arrestare la discesa agli inferi: dall’inizio dell’anno il peso ha perso il 18% del suo valore.
I media argentini ipotizzano un prestito 30 miliardi di dollari dall'Fmi a tassi di interesse inferiori a quelli di mercato. Ma occorre valutare bene i costi, anche non finanziari, dell'aiuto, ponendo attenzione affinché il rimedio non sia peggiore della malattia, che però si è fortemente cronicizzata nel paese. A tal punto che, più di un accordo con l'Fmi, è forse necessario al paese sudamericano un accordo tra gli argentini.