Sono scaduti l’11 maggio i termini per ristrutturare il debito argentino (69 miliardi). A questo punto c’è tempo per i negoziati fino al 22 maggio. E il default è sempre più vicino. Le precedenti due deadline sono saltate perché i creditori hanno giudicato insufficiente la proposta di ristrutturazione del governo, e nulla lascia pensare che le prossime due settimane cambieranno lo scenario.
Il governo di Alberto Fernández insiste su uno sconto con condizioni pesanti: tre anni di congelamento dei pagamenti, taglio al valore delle cedole e spostamento al 2030 del rimborso del capitale. Pacchetto che equivale al 30-35% dell’investimento. Ora i grandi fondi di investimento coinvolti (da Allianz a Fidelity a Blackrock e HSBC) si attendono un miglioramento della proposta.
In recessione già da tre anni, l’economia argentina dovrebbe registrare nel 2020 una contrazione del 5,4%. L’attuale crisi del debito, che potrebbe portare al nono default sovrano della storia del Paese sudamericano, è stata innescata soprattutto durante la gestione di Mauricio Macri, il presidente liberista che aveva promesso di risollevare l’Argentina affidandosi alle forze del mercato. Fallito l’obiettivo, Macri ha ottenuto nel 2018 un prestito record da 57 miliardi di dollari dall’Fmi. Ma è servito a ben poco. O meglio, è già stato utilizzato per pagare debiti precedenti.