Il rapporto debito/Pil della Russia è piuttosto contenuto e non ha mai superato il 40% da più di vent’anni: secondo l’Fmi si è attestato al 19,3% nel 2020 e al 17,9 nel 2021. Con un Pil di circa 1.650 miliardi di dollari nel 2021 (dato inferiore ad esempio a quello dell’Italia), il totale del debito sovrano russo del governo si attesterebbe ora intorno ai 295 mld. Questo debito pubblico relativamente basso è stato inoltre accompagnato da consistenti surplus nel bilancio statale per ben 13 anni sugli ultimi 20.
È quindi evidente come l’affidabilità creditizia prima dello scoppio della guerra fosse piuttosto elevata. Il rating del debito sovrano russo era considerato investment grade, pressoché identico a quello dell’Italia (Fitch BBB, Moody’s Baa3, S&P BBB-). Dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina, il rating della Russia è stato rapidamente declassato dalle principali agenzie, che hanno rivisto più volte le loro valutazioni. I rischi non derivano dall’ammontare del debito, ma dalla circostanza che la maggior parte del debito (sia pubblico che privato) è denominato in valuta estera. Con le attuali sanzioni imposte dall’Occidente agli enti russi, la conversione di rubli in dollari o euro è fortemente limitata. La pesante svalutazione del rublo aggrava ancora di più la posizione della Russia. Per sostenere il rublo, che dall’inizio della guerra si è svalutato sia contro l’euro che contro il dollaro rispetto ad inizio anno (toccando i minimi storici nella prima settimana di marzo), la Banca Centrale Russa (CBR) ha preso dei provvedimenti molto incisivi.
La CBR ha imposto agli esportatori l’obbligo di convertire in rubli almeno l’80% dei proventi in valuta estera ricevuti in pagamento delle esportazioni. Considerando che il resto del mondo versa in media 1.5 mld al giorno alla Russia per i soli combustibili, questo provvedimento dirotta risorse notevoli verso la CBR. Per provare a sostenere la valuta domestica, la CBR ha alzato i tassi di interesse dal 9,5 al 20%, a fronte di un’inflazione che prima della guerra era attorno al 9%. Sono stati inoltre vietati gli scambi di obbligazioni russe a breve scadenza. Anche i pagamenti delle obbligazioni con l’estero denominate in rubli sono stati parzialmente bloccati: la CBR ne ha ordinato il congelamento qualora il pagamento sia verso investitori esteri che provengono da paesi ora ostili alla Russia; le cedole in rubli vengono pagate, ma non è consentito, salvo deroghe, il loro trasferimento nei conti esteri degli investitori.
Per assolvere alle sue obbligazioni in valuta estera e sostenere il valore del rublo sui mercati, la Russia puntava a utilizzare i 630 mld di riserve di valuta estera internazionali che aveva a gennaio. L’inasprirsi delle sanzioni dell’Occidente e del Giappone ha però impedito la liquidazione delle riserve. Per circa metà, le riserve sono in valuta di paesi che hanno messo il blocco. Le riserve in oro, anche se ingenti, potranno difficilmente sbloccare la situazione, dato che la Russia è isolata dai mercati, e comunque è sempre difficile liquidare grandi quantità di oro senza provocarne forti cadute del prezzo. Tolto l’oro, le riserve ufficiali sono circa per il 32% in euro, per il 16% in dollari e il 13% in yuan (seguono la sterlina e altre valute). Fra gli Stati dove risiedono una quota sostanziale delle riserve russe, la Cina è l’unica a non aver imposto sanzioni economiche alla Russia.
Secondo le statistiche trimestrali sul debito con l’estero della Banca Mondiale, al 30 settembre 2021 il debito, privato e pubblico, della Russia con investitori esteri ammontava a 495 mld. Di questi, circa 358 mld erano denominati in valuta estera. I debiti in scadenza entro un anno erano 77 mld (29 mld in rubli, 32 in dollari, 12 in euro, 5 in altre valute). Dei 358 mld in valuta estera, 302 erano debiti privati, quindi di banche (escludendo la banca centrale) e imprese. Il debito pubblico verso l’estero, considerato come il debito del governo e della banca centrale, risultava molto più contenuto del debito privato. Il totale di 104 mld era distribuito omogeneamente fra titoli in valuta estera e valuta domestica: 56 mld erano denominati in valuta estera, mentre il restante in rubli. I paesi più esposti sono in Occidente, con l’eccezione di Singapore, Cina ed Emirati Arabi. Sebbene la quota degli Stati Uniti sia diminuita negli anni, gli investitori americani rimangono i più esposti al debito pubblico russo.
In conclusione, per valutare i rischi per il sistema finanziario occidentale occorre tenere presente che il debito pubblico della Russia è relativamente basso e che gli investitori internazionali hanno ridotto gli investimenti nella Federazione dopo la guerra di Crimea del 2014. Tuttavia, il prolungato blocco dell’export provocato dalle sanzioni (che potrebbe anche estendersi ad altri settori) rischia di far avvicinare la Russia al default sul debito in valuta estera e allo stesso tempo provocare gravi squilibri sul mercato energetico e dei metalli.