Un minuto dopo la mezzanotte americana del 25 maggio, il confronto tra Russia e Stati Uniti è diventato scontro diretto sul fronte finanziario. Come anticipato da Janet Yellen, il segretario al Tesoro Usa, la Casa Bianca non ha rinnovato una licenza che in questi due mesi aveva autorizzato gli investitori statunitensi, nonostante le sanzioni, a ricevere da Mosca attraverso banche americane e internazionali pagamenti degli interessi, dividendi o cedole su bond detenuti dalla Banca centrale russa, dal Fondo sovrano per gli investimenti o dal ministero delle Finanze. Una valvola che ora si chiude, rendendo di fatto inevitabile un default sul debito estero sovrano. Sarebbe il primo, per la Russia, dal 1917 quando il Governo bolscevico ripudiò i debiti dell’impero zarista.
Questa volta, in realtà, le cose sono differenti: a Mosca, che parla di default “artificiale”, non mancano le risorse per rispettare gli impegni. A dispetto del congelamento di 300 miliardi di dollari detenuti in Europa e negli Usa (circa metà delle riserve in valuta accantonate negli anni dalla Banca centrale proprio in previsione di una profonda crisi con l’Occidente) sulla Russia continuano ad affluire pagamenti di gas e petrolio che i prezzi attuali portano anche a un miliardo di dollari al giorno, mentre gli impegni sul debito estero in scadenza da qui alla fine dell’anno sono di 2 mld, su un totale di 20 mld di debito in valuta detenuto da stranieri. Non molto per Mosca e non solo: si tratta di una cifra “non rilevante” per banche e fondi di investimento occidentali, secondo il Fondo monetario internazionale.
In ogni caso Mosca vuole evitare il default che creerebbe un danno di immagine, affosserebbe i rating già a livelli “junk” e farebbe lievitare i costi dell’indebitamento futuro, oltre ad accentuare la diffidenza anche di paesi teoricamente vicini alla Federazione come la Cina, preoccupata di incorrere in sanzioni secondarie americane (ovvero che coinvolgerebbero gli Stati che hanno rapporti economici e commerciali con Mosca) e cauta nelle proprie decisioni di investimento in Russia.
Occorre poi considerare che, fin dal suo arrivo al potere, Vladimir Putin ha posto la riduzione del debito estero tra le priorità, per non lasciare il Paese nella dipendenza dall’estero vissuta negli anni ‘90: la ricostruzione della potenza russa è passata anche da questo. E ora, come ha già chiarito il ministro delle Finanze Anton Siluanov, Mosca andrà per vie legali se sarà costretta a violare i propri impegni: “Non dichiareremo alcun default, abbiamo i soldi – ha detto Siluanov il 18 maggio scorso -. Siamo in grado di pagare e pagheremo gli stranieri in rubli, come ultima possibilità, se le infrastrutture occidentali ci vengono chiuse”.
Nel tentativo di rinviare lo scontro, il 22 maggio Siluanov ha dichiarato di aver anticipato di una settimana le due scadenze del 27 maggio: due emissioni di bond per un totale pari a 97,75 milioni di dollari. La scadenza successiva consiste in due emissioni in dollari per 183,7 e 51,097 milioni dovuti il 23 giugno: tenendo conto del periodo di grazia di 30 giorni, il default scatterebbe a fine luglio.