Il mancato rinnovo del cosiddetto patto sul grano, minacciato dalla Russia, rischia di far esplodere l’insicurezza alimentare su scala globale, colpendo in particolare i mercati più esposti ai flussi cerealicoli in arrivo da Russia e Ucraina.
Tra le vittime ci sono i Paesi dell’Africa, soprattutto subsahariana: una delle regioni a registrare le quote più rilevanti di import agricolo dal granaio d’Europa. L’Onu conteggia almeno 60 milioni di persone ridotte alle fame in sette Paesi dell’Africa orientale e teme “l’impatto di un nuovo urto” su un’area martoriata da instabilità politica, violenze terroristiche e crisi climatica.
Tutto ruota attorno alla proroga della ‘Black Sea Grain Initiative’, firmata nel luglio 2022 e in vigore fino al 17 dello stesso mese nel 2023. Il testo siglato allora da Russia, Ucraina, Turchia e Onu, sotto mediazione di Ankara, ha consentito lo sblocco dell’export cerealicolo lungo le rotte del Mar Nero (un hub paralizzato dalla guerra in Ucraina).
Nel 2021, poco prima del conflitto, Kiev esportava grano per l’equivalente di quasi 5,9 miliardi di dollari, rendendo l’Ucraina il quinto Paese al mondo per esportazioni nel settore. La Russia svettava in cima alla stessa classifica con 8,92 mld.
Secondo l’African Development Bank, le economie del Continente spendono in media l’equivalente di 75 mld l’anno in import cerealicolo. Nel solo 2020, 15 di loro si sono rivolte a Russia o Ucraina per almeno la metà dei propri acquisti e altri sei Paesi si sono spinti oltre la soglia del 70 per cento.
Ma è proprio in virtù di questi numeri, e soprattutto dei legami geopolitici tra Mosca e alcuni Paesi africani, che Putin probabilmente alla fine opterà per il rinnovo dell’accordo.