Due mali che vengono per nuocere, e pure in forma moltiplicata. Il primo è quello delle microplastiche, e cioè il residuo polverizzato di prodotti in plastica, che inquina i corsi d'acqua e i mari, devasta gli ecosistemi e avvelena i pesci che mangiamo. E poi c'è un altro insieme di prodotti, nato inizialmente per farci del bene, cioè proteggerci dalle malattie, e che, invece, ha sviluppato effetti collaterali incontrollati: gli antibiotici.
Conosciamo bene i problemi creati, singolarmente, dalla plastica degradata e dall'abuso di questo particolare spettro di farmaci. Ma non immaginavamo che questi due guai, già consistenti, potessero “unirsi” e aumentare ulteriormente gli effetti dannosi. Non lo immaginavamo sino a che, alcune recenti ricerche hanno rivelato che le microplastiche presenti nell'acqua, sia dolce sia di mare, sono il terreno fertile, anzi fertilissimo, per la propagazione della “resistenza agli antibiotici”.
Si è scoperto che nel bio-film che riveste queste perline millimetriche di plastica proliferano comunità di batteri molto inclini allo scambio intercellulare e di DNA. Si chiama HGT, horizontal gene transfer, ed è il trasferimento dei geni in modalità orizzontale, non tra genitori e progenie. Per effetto dell'enorme sversamento di antibiotici, sia per utilizzo umano sia animale nei corsi d'acqua, molti batteri presentano geni resistenti a quel tipo di farmaci. Se quegli stessi batteri vanno a insediarsi sulle microplastiche hanno – nel caso di acqua dolce - 100 volte la capacità di trasmettere quei geni rispetto ai batteri presenti in fiumi e laghi e nel caso di microplastiche marine una capacità 1000 volte in più degli altri batteri presenti nell'acqua salata. E, siccome queste plastiche sono ingerite dai pesci, se ne desume che potremmo essere noi umani i destinatari ultimi di questa assai indesiderata farmaco-resistenza.
Se era finora sconosciuto questo mix letale presente sott'acqua, il tema generale della resistenza agli antibiotici è ormai deflagrato anche a livello politico visto che causa 700 mila morti all'anno. E di qui al 2050 - scrive The Guardian - tra vittime e spese per il contrasto del fenomeno, si prevede un costo complessivo di 100 mila miliardi di dollari. L'Unione europea – rivela il quotidiano britannico - aveva preparato una “stretta” su questa fascia di medicinali, obbligando le case farmaceutiche a fare non solo i normali test pre-autorizzazione, ma anche verifiche sui danni ambientali post-smaltimento, (tramite le escrezioni umane o da allevamenti). Ma la bozza finale è estremamente edulcorata rispetto alla prima stesura. È il frutto, si legge nell'articolo, di 40 milioni di euro spesi in un solo anno dalle Big Pharma in attività di lobby sulle istituzioni europee.
Articolo pubblicato in precedenza su La Stampa - Tuttogreen