Soltanto in pochi avranno avuto un sussulto quando a dicembre The Walt Disney Co ha messo sul piatto 52,4 miliardi di dollari per l’acquisizione delle attività audiovisive di 21th Century Fox, la società di Rupert Murdoch che gestisce Sky in Italia.
Come ormai è evidente, la partita sui contenuti si gioca tra operatori sempre più globali, internet company, da un lato, e fornitori di contenuti (major, studios e broadcaster), dall’altro.
Indipendentemente dal successo della sua sfida globale, Netflix ha cambiato il paradigma consolidato con il quale la televisione, il cinema e l’immaginario audiovisivo sono stati finanziati, realizzati, distribuiti e consumati per decenni. Fino a due momenti che hanno decretato l’inversione di rotta.
Il primo è, appunto, stato l’ingresso di Netflix nella produzione di film e serie, diventando di fatto un’altra grande major, con 7 miliardi di dollari l’anno di investimenti.
Il secondo è stata la decisione di Disney di rescindere da gennaio 2017 tutti gli accordi di distribuzione con Netflix, annunciando dal 2018 il lancio di un proprio servizio di video streaming. Così la società di Topolino è stata la prima a porsi in diretta concorrenza con Netflix, competendo direttamente su tutti i possibili elementi della catena del valore.
Per capire quanto cambierà l’assetto del settore, bisognerà ora attendere le valutazioni dell’Antitrust, a cui spetta l’ultima parola.