Al pre-vertice delle Nazioni Unite sui Sistemi alimentari per definire le future strategie e le iniziative per favorire la sicurezza alimentare e la sostenibilità figura, al centro del dibattito, l’impatto della pandemia e l’importanza di una transizione ambientale.
Il direttore generale della Fao, Qu Dongyu, aprendo a Roma i lavori ha annunciato l’obiettivo storico di arrivare a un sistema che registri “fame zero”. Ma affinché ciò accada “dobbiamo definire una nuova impostazione, più olistica, trasformare i sistemi alimentari e renderli più sostenibili”, ha affermato.
La pandemia ha aggravato la povertà nelle aree meno sviluppate e sottolineato le disparità nell’accesso al cibo e alle cure. Il che, insieme all’aggravarsi delle diseguaglianze economiche e le conseguenze del cambiamento climatico, ha rallentato il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile dell’Onu.
La crisi sanitaria in corso aumenterà di 130 milioni le persone malnutrite, portando il totale nel mondo a 800 milioni. Quasi 3 miliardi di persone a livello globale non hanno accesso ad un’alimentazione sana: nell’Africa subsahariana e nell’Asia meridionale quasi il 60% della popolazione non può permettersela.
Il Covid ha quindi accelerato un processo in atto da tempo. I sistemi alimentari della globalizzazione, dominati dalle grandi multinazionali e dalle corporation del cibo, non hanno assolutamente garantito la sicurezza alimentare nel mondo, e anzi definiscono gli estremi di un fallimento sistemico nel quale sottoalimentazione, obesità e cambiamenti climatici fanno strame della salute umana e planetaria. Senza considerare che i sistemi agricoli industriali sono uno degli agenti più impattanti sugli ecosistemi. Il rapporto dell’Ipcc 2019 stima che contribuiscano al 37% delle emissioni di CO2.