Una giornalista incinta neozelandese costretta a chiedere asilo al regime dei Talebani in Afghanistan perché le severe norme sulla quarantena le impediscono di tornare nel suo paese. È la paradossale vicenda raccontata dalla protagonista, Charlotte Bellis, in un blog sul giornale a cui collabora, il New Zealand Herald. “Una brutale ironia che, dopo avere criticato i talebani per il modo in cui trattano le donne, io debba rivolgere accuse simili alle autorità del mio governo”, scrive la reporter.
Bellis è una collaboratrice di Al Jazeera che ad agosto aveva lavorato in Afghanistan con il suo compagno, il fotografo belga Jim Huylebroek. Dopo il rientro a Doha aveva scoperto di essere incinta e se ne era dovuta andare, dato che in Qatar essere incinte fuori dal matrimonio è illegale.
A quel punto Bellis sarebbe voluta rientrare nel suo paese (Nuova Zelanda). Ma le norme anti Covid l’avevano tenuta fuori. Così alla coppia non era rimasto altro che andare nel paese del compagno, in Belgio. Charlotte, tuttavia, non aveva il permesso di soggiorno e dopo un po’ ha dovuto sloggiare anche dall’Europa.
La reporter ha quindi riflettuto su un fatto: l’unico visto valido nella sua borsa era ancora quello afghano, perciò Bellis ha contattato il ministero e chiesto di entrare. Donna, emancipata, “infedele” ed occidentale, c’erano tutti gli ingredienti per il rifiuto talebano. E, invece, è arrivato un sì con tanto di “siamo felici per te, puoi stare qui, non avrai nessun problema”.
Bellis e i talebani si sono così avvicinati per necessità: lei perché raccontando la sua storia con quell’ingrediente così paradossale spera di ottenere l’ingresso in patria e Kabul perché i suoi barbuti guardiani ci guadagnano un’immagine civile ed accogliente. All’apparenza, più ospitali di Wellington e Bruxelles.