Henry Kissinger è scomparso all’età di cento anni nella sua casa del Connecticut. I genitori erano emigrati dalla Germania a New York nel 1938 per sfuggire alle persecuzioni naziste contro gli ebrei. Kissinger aveva allora 15 anni.
Oggetto di ammirazione e al tempo stesso di polemiche, è stato il più influente Segretario di Stato statunitense di tutti i tempi. Da repubblicano, ha consigliato, formalmente o informalmente, una dozzina di presidenti e innumerevoli politici sia repubblicani che democratici.
L’apice della carriera e dell’influenza lo raggiunse sotto le presidenze di Richard Nixon e Gerald Ford. Ma ancora un suo viaggio in Cina la scorsa estate lo ha visto accolto con tutti gli onori da Pechino che lo ricorda come “un vecchio amico del popolo cinese”.
Ha incarnato, negli anni, la dottrina che ha a lungo guidato gli Stati Uniti nel Secondo Dopoguerra, una strategia incentrata sugli interessi delle grandi potenze. Ha svolto un ruolo essenziale nel porre fine alla guerra degli Usa nel Vietnam, ricevendo anche un premio Nobel per la pace nel 1973. Ha gestito la Guerra Fredda con Mosca, e ideato l’apertura tra Washington e Pechino. Ha coniato la “shuttle diplomacy” per risolvere (oggi sappiamo solo temporaneamente) il conflitto arabo-israeliano del 1973.
I critici lo accusano invece di aver sacrificato i valori democratici e i diritti umani nelle sue grandi manovre. I bombardamenti segreti e indiscriminati della Cambogia durante il conflitto in Vietnam. Il via libera a eccidi del Pakistan in quello che è oggi il Bangladesh nel 1971. Kissinger appoggiò anche il golpe contro il Presidente socialista Salvador Allende in Cile.
Ma non sono mancati critici anche da destra: gli hanno al contrario rimproverato eccessive aperture a potenze “nemiche” e una scarsa fedeltà ideologica.