Quando a Londra un impiegato nel mondo della finanza guadagna in media 72 mila sterline, il doppio di qualsiasi altro impiego nella capitale britannica, si capisce perché le università sfornino migliaia di giovani che vogliono lavorare nella City e nei quartieri finanziari in Europa, America, Asia. E gli emolumenti dei top manager di banche, hedge fund e assicurazioni sono incommensurabilmente più alti. Ma li meritano?
Le banche e le assicurazioni operano in settori altamente protetti, per evitare rischi di shock all'economia complessiva, e con alte barriere all'ingresso. Quindi si tratta di settori non solo non competitivi ma ad alta sovvenzione pubblica, perché spesso i capitali di queste società sono garantiti in ultima istanza dallo Stato per evitare drammatiche ricadute sia sui singoli risparmiatori o assicurati, sia, appunto sull'intero sistema.
In più, c'è una distorsione nella stessa natura del meccanismo dell'alta finanza. I prestiti, i mutui, le polizze assicurative, operano sul lungo o lunghissimo periodo, invece l'incasso da parte degli intermediari è immediato e non più recuperabile qualora, in quel lungo arco temporale, fuoriuscisse dai pur amplissimi paletti previsti.
La serie di scandali che da molti anni affligge le economie avanzate – il più grave quello sulla manipolazione del tasso Libor - avrebbe dovuto destare un allarme maggiore tra i regolatori. I quali hanno sì, adottato delle contromisure, le quali però o sono state disattese o sono state troppo deboli.
Non solo. I regolatori hanno fatto di più: dai tempi dell'ex presidente della Fed, Greenspan, hanno deciso di intervenire solo quando i mercati crollavano, non quando crescevano – e conseguentemente arricchivano i finanzieri - a dismisura. E con il quantitative easing le cose proseguono immutate: è uno strumento di politica monetaria per stimolare l'economia, ma di fatto molta di quella liquidità si è fermata in poche tasche.