La pandemia sta accelerando il declino del dollaro statunitense, che per 50 anni è stato l’incontrastata valuta di riserva mondiale. Il biglietto verde è sceso di circa il 3% dall’inizio del 2020, dopo essersi rafforzato negli ultimi due anni.
Al contrario, da quando a luglio è stato annunciato l’accordo sul Recovery Fund, il valore dell’euro ha visto un’impennata: gli investitori percepiscono l’Eurozona come più sicura degli Stati Uniti. Lo stesso è accaduto all’oro, volato al record storico, e ai titoli tech, acquistati di riflesso all’indebolimento della divisa statunitense.
Un dollaro più debole tuttavia rende le esportazioni statunitensi più competitive all’estero. Il presidente statunitense ha sempre spinto per un indebolimento dei dollaro a sostegno dell’export Usa, ma in questa fase la debolezza del biglietto verde richiederebbe almeno un anno per alimentare il settore manifatturiero. Troppo tempo per consentire a Trump di giocarsi questa carta in tempo per le elezioni presidenziali di novembre.
Al contempo, la debolezza del dollaro non rende felice tra le altre le economie europee e quella nipponica, poiché le loro valute in aumento minacciano di pesare sulla ripresa della crescita economica e sugli sforzi per far risalire l’inflazione.
Ma, secondo gli analisti di Goldman Sachs, il destino è segnato: prevedono che la valuta Usa scenderà di un altro 5% nei prossimi 12 mesi.