Raddoppiano gli investimenti di capitale in Cina nei primi quattro mesi sul 2020, in crescita dell’11,5% rispetto al 2019. In volume toccano quasi quota 60 miliardi di dollari, con oltre 14.500 nuove società straniere nate, finora, nel 2021. L’incremento degli investimenti in arrivo dall’Europa è stato del 9,2%, inclusi quelli realizzati via porto franco.
Dati in linea con la ripresa commerciale, infatti Eurostat conferma che nel primo trimestre l’interscambio è tornato a livelli pre-pandemici (export a 195,1 miliardi di euro, +10.6, import a 176,3 miliardi, +19%) con la Germania leader nell’export e l’Olanda dell’import.
La Cina si conferma primo partner dell’Unione europea, ma d’ora in poi la musica potrebbe cambiare e l’idillio incrinarsi, a causa degli effetti del congelamento dell’accordo di principio sui reciproci investimenti Ue-Cina siglato a fine dicembre.
L’elemento reale di preoccupazione - se le cose dovessero peggiorare - sta negli investimenti di capitale finanziario non ricompresi negli Fdi del ministero del Commercio: azioni, bond, assicurazioni, specie i flussi che passano attraverso società create nei paradisi fiscali per aggirare le barriere all’ingresso di capitali in settori protetti.
Al momento, al pari degli Usa, anche i Paesi Ue che investono nei mercati azionari e obbligazionari cinesi, non potendo farlo direttamente, ricorrono alle società parallele cinesi (VIE) create nei paradisi fiscali, vietate in astratto.
L’esposizione dei Paesi Ue nei confronti del solo azionario cinese eccede i 320 miliardi di dollari, tre volte tanto le cifre ufficiali. Un terzo è targato Cayman, seguita da Hong Kong (con importi minimi).