Uno vale uno. Non stiamo parlando di politica, bensì di economia. O meglio di valute. Dunque, un euro vale un dollaro. Per la prima volta dal mese di dicembre del 2002, il biglietto verde riaggancia (quasi) la parità sulla moneta unica europea. Lunedì (11 luglio) il cambio è infatti sceso fino a un minimo di 1,0053, a un soffio quindi dalla parità che non si vedeva da 20 anni.
Pesano le aspettative divergenti: negli Stati Uniti la Federal Reserve alzerà i tassi in maniera aggressiva (e lo ha comunicato chiaramente), nell’Eurozona la Banca centrale europea non farà altrettanto. Una delle motivazioni sottostanti è correlata alla natura dell’esplosione dell’inflazione.
Negli Usa sarebbe dovuta a un eccesso di domanda, mentre nel Vecchio continente sarebbe connessa al crollo dell’offerta. Ma c’è anche un altro motivo: la recessione in cui potrebbe cadere l’Europa con maggiore probabilità rispetto agli Stati Uniti.
Ma non è solo l’euro a cadere così in basso: il dollaro ha toccato proprio lunedì i massimi da 24 anni anche sullo yen ed è tornato al top dall’ottobre del 2002 su un paniere composto dalle sei maggiori valute globali.
Nonostante la caduta verticale della moneta della terza economia al mondo, la Banca centrale nipponica è riluttante a modificare la sua politica, sostenendo che l’attuale inflazione è temporanea e il prodotto della situazione geopolitica, con l’aumento dei prezzi dell’energia dovuto alla guerra russo-ucraina.
La debolezza dello yen, sebbene contribuisca a gonfiare le vendite all’estero delle società giapponesi, ha anche implicazioni negative per l’economia giapponese, poiché rende più costose le importazioni in un paese che dipende dall’estero, soprattutto nel costoso settore dell’energia.