Tra il 2016 e il 2021 l’estrazione di Bitcoin, la più nota tra le criptovalute, ha provocato danni ambientali superiori a 12 miliardi di dollari. Inoltre, il loro uso è più inquinante dell’allevamento dei bovini e confrontabile con l’estrazione del petrolio. A sostenerlo è un articolo pubblicato su ‘Scientific Reports’.
La produzione di nuovi Bitcoin necessita l’uso di calcolatori impegnati a realizzare lunghe operazioni che richiedono molta energia: nel 2020, la produzione di Bitcoin ha utilizzato a livello globale 75,4 Terawatt ora (TWh) di elettricità, più di quanto consumato in un anno ad esempio in un paese come l’Austria.
Allo stesso tempo, le emissioni di CO2 prodotte dalla loro estrazione sono salite nel tempo di 126 volte, dalle 0,9 tonnellate per singolo Bitcoin del 2016 alle 113 del 2021, e nel complesso le emissioni prodotte tra il 2016 e il 2021 sarebbero equivalenti a danni stimati in oltre 12 miliardi di dollari.
Mettendo in relazione le emissioni prodotte dai Bitcoin con il loro valore di mercato i ricercatori hanno stimato che, nel maggio 2020, i danni climatici prodotti dall’estrazione di un singolo Bitcoin ha addirittura superato del 50% il prezzo stesso della moneta.
In media i costi ambientali dei Bitcoin rappresentano il 35% del loro valore di mercato, un dato vicino all’impatto dell’estrazione del petrolio (41%) e superiore alla produzione di carna bovina (33%).