Il governatore ha giocato d’anticipo. Tutti si aspettavano una decisione per luglio, invece Draghi ha comunicato la sua scelta il 14 giugno: stop al quantitative easing a fine dicembre e nell’ultimo trimestre 2018 il tasso mensile degli acquisti netti di titoli sarà ridotto da 30 a 15 miliardi.
La Bce promette, tuttavia, di proseguire con il reinvestimento ancora a lungo. In pratica, la Banca centrale utilizzerà il capitale rimborsato dei bond (al momento 2,4 trilioni di euro), che ha in portafoglio e che arrivano a scadenza, per comprare nuovi titoli di pari durata. Quindi, il Qe, iniziato nel 2015, non finisce completamente.
Secondo la Bce, i dati in arrivo confermano le stime di medio termine d'inflazione. Anche se, poi, Draghi ammette che per una ripresa sostenuta del livello dei prezzi al consumo serve ancora “un significativo stimolo monetario”. In realtà, l’obiettivo fissato da Francoforte era il 2%, mentre ora l’aspettativa è dell’1,7% per i prossimi due anni. La differenza è uno 0,3 che in questo caso pesa, anche perché l’inflazione è stata spinta verso l’alto dal recente forte aumento del prezzo del petrolio.
Ma Draghi è riuscito comunque a rassicurare i mercati, annunciando che i tassi di interesse resteranno fermi ai minimi record almeno fino alla prossima estate e in ogni caso finché sarà necessario. E ha spiegato che gli acquisti di titoli del Qe "non stanno sparendo, restano parte degli strumenti di politica monetaria e potranno essere utilizzati in particolari fasi”.
C’è, poi, una dimensione politica nella scelta di interrompere (gradualmente) il Qe. Il rischio di una guerra commerciale e l’incertezza in Italia (il governo aumenterà il deficit?) hanno condizionato la scelta di una exit-strategy morbida. Draghi proprio al suo paese di origine ha indirizzato una frecciatina: “L'euro è irreversibile, perché è forte, perché le persone lo vogliono e perché non giova a nessuno metterlo in discussione”.
Eppure, per il capo della Bce, non è stata una scelta facile. Se continua a comprare obbligazioni, può essere accusato di facilitare il governo italiano. Se interrompe bruscamente, e le attese del mercato sull'aumento dei tassi di interesse fanno aumentare sensibilmente i rendimenti obbligazionari, gli investitori potrebbero preoccuparsi della capacità dell'Italia di servire il proprio debito, attualmente al 132% del Pil.
In quel delicato mosaico, la mossa della Bce sembra ragionevole. Prevede di porre fine al Qe a dicembre, ma dipenderà dall’inflazione. E, in ogni caso, i tassi saranno fermi ancora a lungo. Il che non è scontato, alla luce degli aumenti che molte banche centrali hanno già attuato, come la Federal reserve e la Banca centrale indiana, o stanno valutando di farlo, ad esempio la Banca d’Inghilterra. Per la Bce, invece, la normalizzazione della politica monetaria non è ancora vicina. Il 2019 sarà un anno di transizione per l'eurozona.
C’è, infine, un aspetto personale. Draghi lascerà l’incarico il prossimo anno. Dopo aver avuto il “merito” di introdurre un programma che ha probabilmente salvato l’euro, non sarebbe voluto passare alla storia per colui che non è stato capace di interromperlo. Senza contare che, così facendo, il governatore uscente ha spuntato la principale arma del suo probabile successore, il rigorista Jens Weidmann: stoppare il Qe e compiacersi con il suo paese, la Germania.