È da 16 anni nei piani alti del potere e per buona parte di questo tempo il leader turco Recep Tayyip Erdogan ha provato a raccontare una storia avvincente, nella quale tanti hanno creduto.
Hanno creduto in un politico che ha fatto costruire un palazzo presidenziale quattro volte più grande di Versailles e ha difeso il suo costo di 615 milioni di dollari confrontandolo con Buckingham Palace. È da quella nuova dimora che l'ex sindaco di Istanbul guida un paese da 80 milioni di abitanti.
Eppure negli anni successivi alla sua elezione a primo ministro, Erdogan è cercato dagli investitori di mezzo mondo: il Pil sale al ritmo del 5,8% annuo. Nel 2005 i leader europei avviano negoziati con la Turchia per la piena adesione all'Ue, con la prospettiva di diventare il primo paese membro a maggioranza musulmana.
Poi il cambio di rotta, che vede Erdogan dispiegare una versione del nazionalismo islamico impensabile solo qualche anno prima. Twitter, Facebook, YouTube e Wikipedia vengono stoppati e la Turchia diventa, così, leader mondiale nelle richieste di inibizione dei contenuti sui social media.
Aumentano, intanto, i turchi che scelgono di partire. Questo è il paradosso: l’economia cresce, ma gli investitori e i talenti stanno abbandonando il paese.