In Europa e Stati Uniti c'è ampio dibattito sulla opportunità che le Banche centrali inizino a preparare un rialzo dei tassi d'interesse, per contrastare la corsa dei prezzi che si sta dimostrando più di una fiammata (transitoria).
Nelle prossime settimane due tra le principali banche centrali al mondo, la statunitense Federal Reserve e la britannica Bank of England, potrebbero essere le prime a fare la mossa nel tentativo di arginare un’inflazione che non si registrava così alta dagli ’90.
Al contrario, la Banca centrale turca ribalta gli assiomi di politica monetaria consolidati da decenni e, pur in presenza di un’inflazione galoppante, continua ad abbassare i tassi d’interesse invece di alzarli.
L’ultimo taglio, ancora di ben 100 punti base (ovvero un punto percentuale), ha portato i tassi di riferimento dal 16 al 15%. A ottobre aveva già deliberato un taglio dei tassi di interesse, pari a 200 punti base, portando quello di riferimento dal 18 al 16%. Il tutto a fronte di un’inflazione al 20%.
La lira turca (come era facile prevedere) ha toccato un nuovo minimo storico subito dopo la decisione dell’istituto centrale, che ha recepito la volontà del presidente Recep Tayyip Erdogan. La moneta in poche ore ha perso fino al 4% venendo quotata a un nuovo minimo storico di 11,3 lire turche per un dollaro. Altrettanto violento il tonfo sull’euro, scambiato fino a un minimo di 12,8 lire turche. La lira ha perso circa un terzo del suo valore nei confronti del dollaro da dicembre e si è indebolita di oltre il 20% da quando la Banca centrale ha iniziato a tagliare i tassi a settembre. Il rendimento dei titoli di stato a 10 anni è balzato di 57 punti base al 20,44%.
L’economia turca è strutturalmente in deficit nella bilancia commerciale e delle partite correnti e dunque la svalutazione della lira non fa che rendere sempre più cari i beni importati (allo stesso tempo rende le esportazioni più competitive sui mercati esteri) alimentando a sua volta l’inflazione in un circolo vizioso. A ottobre i prezzi sono aumentati del 19,6% su base annua e del 2,4% sul mese precedente. I maggiori rincari si sono visti nel settore dei beni alimentari con un +27,4%, annuo.
Secondo la Banca centrale, quest’anno il disavanzo delle partite correnti dovrebbe collocarsi tra i 15 e i 17 miliardi di dollari. Tuttavia, negli ultimi due mesi, la bilancia corrente ha segnato un saldo positivo grazie alla ripresa delle esportazioni. Un progresso pagato (sotto forma di inflazione) a caro prezzo dal paese.