I prezzi alla produzione in Cina hanno segnato a giugno una contrazione annua pari al 5,4 per cento, peggio del -4,6 registrato a maggio e del -5 atteso dagli analisti: si tratta, in base ai dati dell’Ufficio nazionale di statistica, della nona frenata mensile consecutiva e della più ampia da dicembre 2015.
A pesare, in particolare, è l’indebolimento della domanda e della moderazione dei prezzi delle materie prime. Dall’economia cinese provengono anche altri segnali di deflazione e di incertezza: in particolare, i prezzi al consumo di giugno sono invariati su base annua.
Lo slancio nella ripresa economica post-pandemica della Cina ha subito un rallentamento rispetto alle vivaci indicazioni del primo trimestre a causa della debole produzione industriale, della stagnante fiducia dei consumatori e delle crescenti difficoltà dell’export.
E le prospettive non sembrano rosee. L’inflazione complessiva, secondo gli analisti, dovrebbe salire a circa l’1 per cento entro la fine del 2023 (lo scorso anno è stata pari al 2), non limitando tuttavia la capacità della Banca centrale cinese di allentare ulteriormente la politica monetaria.
Il mese scorso la Cina ha tagliato i tassi ufficiali per aumentare la liquidità e ha promesso di adottare misure mirate per promuovere i consumi delle famiglie. Il sorpasso della seconda economia al mondo ai danni degli Stati Uniti appare, al momento, sempre più lontano.