India, crolla la valuta della terza economia asiatica

La rupia indiana si è rivelata la peggior valuta dell'Asia quest'anno. Il paese è stato indebolito dall'aumento del prezzo del greggio. L'80% del fabbisogno di petrolio è infatti importato e il deficit delle partite correnti è crescente. Inoltre, nonostante un Pil galoppante, il tasso di occupazione resta troppo basso

Crolla la valuta della terza economia asiatica
Il premier indiano Narendra Modi

La rupia, la valuta dell’India, ha perso il 12% rispetto al dollaro statunitense dall'inizio del 2018, guadagnandosi la sfortunata medaglia della moneta peggiore dell'Asia per quest’anno.

Secondo alcuni, la causa è legata all’aumento del prezzo del greggio. L’India importa l’80% del suo fabbisogno di petrolio. Anche per questo motivo, il disavanzo delle partite correnti di New Delhy (che si verifica quando le importazioni superano le esportazioni) aumenterà probabilmente al 2,8% del Pil nell'anno finanziario 2018 - rispetto all'1,9% rilevato nel 2017.

Tuttavia, questi due problemi macroeconomici – la svalutazione della rupia e il peggioramento del disavanzo - non costituiscono le maggiori preoccupazioni per il premier Narendra Modi. La sua amministrazione è preoccupata maggiormente dal prezzo della benzina. Il motivo è semplice: nel secondo trimestre del 2019 gli indiani saranno chiamati alle urne e il presidente punta ad un secondo mandato.

Da quando Modi è stato eletto, quattro anni fa, il Pil è salito. L'India può vantare di essere la principale economia a più rapida crescita al mondo: il secondo trimestre 2018 ha segnato l’8,2%. Ma come è noto, il Pil non equivale allo sviluppo economico e sociale. È un indicatore che non dice nulla in merito alla distribuzione della ricchezza. E, infatti, non tutto va bene in India.

Il settore bancario è colmo di crediti inesigibili. Secondo i dati forniti dal governo, a fine marzo erano saliti a 130 miliardi di euro. Anche il comparto agricolo è in difficoltà, afflitto dall’incremento dei costi di produzione. Il problema non è di poco conto visto che il 45% della forza lavoro indiana è impiegata nell’agricoltura, anche se il settore rappresenta soltanto il 15% del Pil. Per questo motivo, secondo numerosi economisti, la trasformazione economica dell'India richiede che parte del lavoro agricolo in eccesso e a bassa produttività passi a posti di lavoro più remunerati nell'industria e nei servizi.

Tuttavia, nonostante la crescita galoppante, l'India non sta generando una quantità sufficiente di “buoni” posti di lavoro. Il paese avrebbe bisogno, solo per stare al passo con la crescita demografica, di 1 milione di nuovi occupati al mese. Quelli che, invece, riesce a creare sono circa 400 mila. Non abbastanza per essere la terza economia asiatica, dopo Cina e Giappone.

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