I prezzi al consumo tornano a correre: cresce la preoccupazione nella prima economia europea. E sale la pressione sulla Bce affinché adotti politiche meno ‘generose’ e valuti un rialzo dei tassi di interesse. Ma la dinamica, a livello europeo, è eterogenea. Grecia, Spagna, Slovenia e Cipro sono ad esempio in deflazione.
La spinta sui prezzi proviene innanzitutto dagli Stati Uniti dove il megapiano di aiuti da 1.900 miliardi di dollari varato dall’amministrazione Biden (che sommato a quello di Trump arriva a 3.600 mld) potrebbe innescare una reazione a catena nelle principali economie avanzate che porterà probabilmente a un aumento del costo del denaro, segnando il ritorno a politiche monetarie restrittive.
Nelle scorse settimane il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, ha espresso intanto la stima di un’inflazione in Germania al 3% per la fine di quest’anno, spinta dagli stimoli monetari e dal balzo dei prezzi energetici, ma anche da fattori endogeni come la fine del taglio dell’Iva.
Il presidente di Ubs Axel Weber (nonché ex capo della Bundesbank) ha stigmatizzato le politiche generose delle banche centrali ricordando che i deficit globali ammontano ormai all’11%, mentre i bilanci delle banche centrali sono aumentati del 13%. “Indirettamente abbiamo finanziato i nuovi disavanzi con nuova moneta”, ha scritto su Project Syndicate. Un meccanismo che può stare solo in piedi, a suo dire, finché i risparmiatori non cominciano a investire i loro soldi. Altrimenti la storia insegna “che debiti eccessivi sono quasi sempre sfociati in alta inflazione”.