La Reserve Bank of Australia (RBA), la Banca centrale australiana, con una mossa a sorpresa ha alzato i tassi di interesse di 25 punti base, portandoli al 3,85%. Gli analisti si attendevano una pausa di riflessione, dopo che l’istituzione, nel precedente meeting di aprile, aveva lasciato i tassi invariati al 3,60%.
Per RBA l’inflazione nel Paese è ancora troppo elevata e non ha escluso la possibilità di alzare ancora quello che gli economisti definiscono il costo di detenere moneta, per portare i prezzi ad un livello ritenuto adeguato.
“L’inflazione in Australia ha superato il suo picco, ma al 7% è ancora troppo alta e ci vorrà un po’ di tempo prima che torni nella fascia obiettivo”, ha dichiarato il governatore Philip Lowe, aggiungendo che “data l’importanza di riportare l’inflazione all’obiettivo in tempi ragionevoli, il Consiglio ha ritenuto che un ulteriore aumento dei tassi di interesse fosse giustificato”.
Il problema è, secondo molti osservatori, la politica anti-inflazione a colpi di incrementi dei tassi di interesse (scelta adottata in Australia per ben 11 volte in 12 mesi) non sta dando i frutti sperati visto che i prezzi al consumo come appunto spiegato da Lowe restano troppo alti: un cane (o meglio un canguro) che si morde la coda.
Anche perché sulle reali motivazioni per cui l’inflazione resta troppo alta, così come in Europa, non c’è sufficiente chiarezza. Ad esempio, le notizie provenienti dal mercato del lavoro, dove la disoccupazione rimane vicina al livello più basso in mezzo secolo, hanno innervosito la Banca centrale australiana che teme l’attivazione di una spirale prezzi-salari, con i secondi che provano a inseguire i primi. Ma ad oggi non vi sono segnali in tal senso. Quindi, ha ancora senso continuare a rialzare i tassi di interesse?