La Bank of England si è legata le mani da sola. Nei giorni scorsi è emerso che probabilmente i tassi di interesse verranno aumentati giovedì 2 agosto. E ciò ha fatto salire le aspettative dei mercati per un rialzo. Se, invece, ci dovesse essere un ripensamento last minute – e i tassi restassero dunque allo 0,5% - la sterlina subirebbe una flessione nelle borse di mezzo mondo.
In realtà, non vi è alcun motivo reale per far salire il costo del denaro allo 0,75%. I salari crescono meno velocemente, l'inflazione è inferiore rispetto alle previsioni di tre mesi fa della Banca centrale e le vendite al dettaglio sono deboli. E, poi, l'indebitamento dei consumatori, escludendo i mutui, aumenta a un tasso annuo di quasi il 9% in quanto le persone accollano i loro consumi sulle carte di credito.
Ci sono stati momenti in cui la forte crescita dei prestiti non garantiti era un segno di un'economia surriscaldata, ma non è questo il caso. Nel 2017 gli standard di vita sono diminuiti e il mercato immobiliare è rimasto stazionario. Le famiglie del Regno Unito prendono a prestito non perché hanno fiducia. Il loro “sentiment” non è aumentato. In molti casi lo fanno per far quadrare i conti.
La situazione è tale per cui, pur di non perdere la decurtazione alla retribuzione prevista per i giorni di malattia, i britannici si sono riscoperti fisicamente più tonici. Il numero di giorni di malattia si è quasi dimezzato nell'ultimo quarto di secolo, da una media di 7,2 nel 1993 a 4,1 nel 2017, il più basso mai registrato.
L'aumento dei tassi di giovedì avrebbe un senso se riuscisse a sostenere la sterlina e rafforzare la credibilità della Banca senza danneggiare la crescita. Ma ci riuscirà?