L’Algeria, troppo dipendente dagli idrocarburi, è sull’orlo di una crisi. Il crollo del prezzo del greggio osservato tra il 2014 e il 2017 ha drasticamente ridotto le entrate fiscali dello Stato. L’economia del paese nordafricano ha urgente bisogno di diversificarsi.
Il simbolo di un paese che appare ingessato è il suo presidente: Abdelaziz Bouteflika, 81 anni, mira ad ottenere l’investitura per il quinto mandato nelle elezioni del prossimo mese di aprile. La sua eventuale rielezione non è mal vista dalla maggior parte della popolazione perché il ricordo della guerra civile durata dieci anni (1992-2002) è ancora vivo.
Il Governo ha ridotto la spesa pubblica e sta favorendo l’adozione di una politica monetaria spericolatamente espansiva, che alimenta l'inflazione e consente soltanto di guadagnare tempo senza affrontare i reali problemi. La Banca centrale algerina ha stampato circa 3,5 miliardi di dollari lo scorso 30 settembre. Nel corso del 2018 sono stati immessi nell’economia quasi 34 mld. Un’entità enorme, che corrisponde al 19% del Pil. L'obiettivo dell’esecutivo sarebbe di colmare in tal modo il deficit di bilancio, stimato al 6,9% del Pil dalla Banca mondiale.
Il paese sta inoltre affrontando il peggioramento del suo debito interno, che è passato dal 20,6% del Pil nel 2016 a quasi il 40% quest'anno. Il premier Ahmed Ouyahia rifiuta di ricorrere all'indebitamento esterno e considera la stampa di nuova moneta come l'unico modo per evitare la bancarotta. Ma per molti economisti algerini è, invece, una via utile solo a rinviare le riforme strutturali.
Socialista fino all'inizio degli anni '90, l'economia algerina resta caratterizzata da un forte intervento statale. E un unico volano: il petrolio. Che pero’ non è più l’energia del futuro. Intanto le prospettive per l’Algeria e la sua giovane popolazione (gli under-30 sono il 55% del totale) appaiono sempre più cupe.