Quando la Germania (ovest) vinse le prime tre Coppe del Mondo (1954, 1974, 1990) tutti i giocatori avevano la pelle chiara e potevano sfoggiare antenati tedeschi. Ma in occasione della quarta finale vinta – nel 2014 – il team si era spopolato di biondi con gi occhi azzurri e non sembrava più la teutonica squadra germanica. Le tonalità della pelle riflettevano il mondo e i nomi dei giocatori hanno cominciato ad avere assonanze turche, tunisine, ghanesi e albanesi.
Se la Germania dovesse vincere anche il Campionato in corso in Russia, il quinto titolo, lo farebbe con una squadra dove 1/3 dei giocatori ha genitori stranieri, come dicono i tedeschi hanno un "background migratorio". Si tratta di un rapporto più alto – seppur lievemente - rispetto alla società tedesca nel suo insieme ed è un segnale della tendenza.
L'integrazione è un processo, spesso, carico di tensione, perché espone differenti identità culturali al confronto diretto. Prendiamo, ad esempio, un recente incontro tra due giocatori tedeschi con radici turche e Recep Tayyip Erdogan. Uno dei due, Ilkay Gündogan, ha regalato al leader turco una maglietta con una dedica: "Per il mio presidente." Una strana scelta di parole per un’atleta che gioca in un paese il cui presidente si chiama Steinmeier. La volta successiva che Gündogan è sceso in campo, il pubblico tedesco lo ha fischiato. Questa ambiguità sull'identità è semplicemente un effetto collaterale della diversità. Ma come altri paesi hanno ampiamente dimostrato l’integrazione è possibile. Come disse Walt Whitman: "Sono grande, contengo moltitudini".
Un'altra lezione riguarda il prevalere delle mentalità aperte rispetto a quelle chiuse. Alexander Gauland, leader del partito di estrema destra, Alternativa per la Germania, una volta osservò che Jerome Boateng, un giocatore tedesco di estrazione africana, calciava il pallone abbastanza bene, ma sicuramente non era qualcuno che i tedeschi avrebbero voluto come vicino. E, invece, è stata una moltitudine di tedeschi a fargli sapere che se c’è un vicino sgradito quello è Guland.
Boateng è, poi, diventato un leader della squadra tedesca. Non perché sia nero, ma perché ha talento. E questa è l'ultima lezione: quando l'integrazione funziona, smette di essere un argomento con il quale solleticare la pancia dell’elettorato. Se l’immigrazione è vista come un problema, invece, diventa noiosa.