Per anni le principali banche centrali delle economie avanzate hanno lottato con tassi di inflazione bassi, molto bassi. Fatto inusuale che gli economisti non sono riusciti a spiegare efficacemente. Qualcuno ha ipotizzato che fosse dovuto all’inceppamento delle catene globali del valore. Ad oggi non vi è certezza sulle cause. Peraltro, i tassi di interesse sono stati, altrettanto a lungo, bassissimi.
Già prima della pandemia la globalizzazione aveva mostrato evidenti segni di logoramento, a partire dallo scontro Usa-Cina. Con il Covid-19 e la guerra in Ucraina poi è avvenuto il completo ribaltamento del tavolo. L’inflazione è schizzata, i tassi di interesse pure.
Eppure, la politica monetaria applicata dalla Bce, con un’economia che rasenta la recessione, appare discutibile. Combattere a suon di rialzi dei tassi un aumento dei prezzi non determinato da un incremento della domanda, bensì da una riduzione dell’offerta, appare un controsenso. E ora che i prezzi al consumo sembrano aver frenato la loro corsa non è detto che ciò sia dovuto principalmente dalle scelte prese a Francoforte.
Un fatto è invece certo: l’inflazione è salita alle stelle ma non soltanto per alcune dinamiche di mercato. Cari lettori è giunto il momento di deporre le armi dell’analisi scientifica. C’è un grafico del Fondo monetario internazionale che chiarisce il quadro: metà dell’inflazione registrata nel 2022 ha una natura ‘unexplained’ (inspiegabile).
Occorre riconoscere che non è da tutti ammettere che qualcosa non si riesce a spiegare. Ma, in questo caso, i ricercatori del Fondo probabilmente si sono sottostimati facendo buon viso a cattivo gioco. Possiamo infatti sostenere, con ragionevole certezza, che quella metà della mela si sia tradotta in extra profitti (ingiustificati).
E qui i nodi vengono al pettine. Abbiamo una Bce che combatte a denti stretti un’inflazione (non da domanda), andando avanti nella notte a fari spenti e facendo finta di non sapere da dove provenga una parte rilevante di quell’aumento. Dall’altro lato, la Bce e molti governi cercano di stoppare sul nascere qualunque richiesta di aumento salariale con la scusa che l’inflazione rientrerà, prima o poi, e a quel punto l’economia sarebbe troppo sbilanciata a favore dei salari. Meglio mantenerla più stabilmente su profitti (e rendite).