Se davvero la crescita nel 2019 dovesse essere inferiore alle attese, l’esecutivo potrebbe procedere con tagli "automatici" alla spesa pubblica.
Il che, paradossalmente, darebbe un’ulteriore spinta verso il baratro ad un’economia già entrata in una fase calante, ammesso che l'organo esecutivo dell'Ue si accontenti di questa possibile "apertura" di Roma. E non saranno i provvedimenti adottati dal governo a risollevare il Pil, seppur spinti da motivazioni valide (ridurre le tasse sopratutto sul lavoro e introdurre uno strumento di sostegno al reddito di ultima istanza più consistente di quello varato dal governo Gentiloni, il Rei). Con l’eccezione degli investimenti. Ma sono relativamente pochi e gli effetti non si vedranno nel breve periodo.
Ecco allora che la manovra, nata per aumentare la crescita e tagliare la legge Fornero, potrebbe trasformarsi in nuovi radicali tagli alla spesa pubblica. Ma, a torto o ragione, la legge Fornero è stata varata proprio per sforbiciare in tempi record le uscite del bilancio pubblico. Che è esattamente ciò che l’anno prossimo il governo giallo-verde rischia di dover fare.
Sarebbe stato decisamente più logico andare a Bruxelles e mettere sul tavolo un’ipotesi “costruttiva” di riforma dei parametri di Maastricht. Puntare, ad esempio, ad un rapporto deficit/Pil flessibile, anziché rigido come è ora al 3%. In tal modo i governi dovrebbero fare deficit di bilancio durante le recessioni e, viceversa, surplus nelle fasi di ripresa, in modo che al netto delle oscillazioni cicliche il bilancio dello stato sia in pareggio e non si verifichi un accumulo sistematico di debito pubblico.
Invece, la strategia innescata dal governo rischia di far entrare l’Italia in un vicolo cieco. È comprensibile che la Commissione si sforzi di mostrare che a nessun Stato membro è possibile, ufficialmente, accordare trattamenti di favore. E se anche nulla o quasi è stato fatto per indurre, tra gli altri, la Germania a bilanciare il proprio abnorme surplus commerciale, non si rivelerà comunque una buona mossa aver portato ad un livello così plateale lo scontro con la Commissione, tanto alto da implicare soltanto risposte dure e formali da parte di Bruxelles. I mercati, intanto, sono in fermento e Tria ammette: "320 punti è un livello che non possiamo considerare di mantenere troppo a lungo".
La spiegazione di questa rigidità da parte dell'Italia porta ad un altro possibile imprevisto. Non è detto, infatti, che le elezioni politiche europee del 2019 ridisegnino il parlamento di Strasburgo nel modo immaginato da Lega e M5s. Siamo sicuri che i "Salvini" e "Di Maio" dell’Europa centrale e settentrionale saranno così accoglienti e flessibili con l’Italia?