Ma il modo fortunoso con cui ha iniziato la sua avventura ha probabilmente segnato anche la sua uscita, che potrebbe consumarsi nelle prossime settimane.
Considerata ormai dalla maggioranza del suo partito, i Tories, un soggetto scomodo. Lei, sicura di sé seppur poco carismatica, ha sfidato invece la Camera dei Comuni puntando i piedi. E ha perso.
O meglio, è stata usata come strumento per arrivare a un obiettivo con il quale nessuno voleva sporcarsi le mani. Lo ha fatto lei, con risultati discutibili. E anziché ringraziarla per essersi immolata, la premier si è ritrovata ad essere merce di scambio con quell’accordo da lei stessa raggiunto.
Un’uscita di scena amara immaginata diversamente fino a pochi mesi fa. E poco British per la sessantenne Theresa May. Nata a Eastbourne, in gioventù studia geografia a Oxford e s'avvicina ai Tory all'alba della rivoluzione thatcheriana. Lì conosce il marito Philip, presentatole da una compagna di studi destinata a diventare famosa e a morire tragicamente, Benazir Bhutto, futura leader del Pakistan. Il matrimonio arriva, i figli no.
Dopo la laurea, e prima di entrare in politica, lavora alla Bank of England. Poi è una scalata costante. Nei sei anni come ministro dell'Interno britannico, sfodera un garbato pugno d'acciaio e toni inflessibili sull'immigrazione e contro il radicalismo islamico. Ma non senza attenzione al sociale. Infine, l’incarico inatteso.