L’Ue studia un intervento di emergenza e pensa a una riforma strutturale del mercato dell’elettricità per affrontare l’impennata dei prezzi del gas e impedire un tragico effetto domino sull’economia del Vecchio Continente.
Tra le cancellerie europee sta emergendo in particolare una nuova convergenza sulla possibilità di introdurre un tetto temporaneo al prezzo (‘price cap’) del gas importato e usato nella produzione dell’energia elettrica, e per arrivare al disaccoppiamento strutturale del prezzo del gas da quello dell’energia sui mercati all’ingrosso. Il perverso meccanismo attuale prevede che il prezzo dell’oro blu (fissato alla Borsa di Amsterdam) determini anche il prezzo dell’elettricità e persino delle rinnovabili.
“Porre fine alla nostra dipendenza dai combustibili fossili russi è solo il primo passo. L’aumento vertiginoso dei prezzi dell’elettricità sta mettendo a nudo i limiti dell’attuale struttura del mercato elettrico. Per questo stiamo lavorando a un intervento di emergenza e a una riforma strutturale del mercato dell’elettricità”, ha detto Ursula von der Leyen.
Ma la vera svolta sarebbe quella ‘green’, anche se pure su questo fronte i problemi non mancano. Per questo in molti parlano di mix energetico quantomeno nel breve periodo. “In definitiva il modo migliore per sbarazzarsi dei combustibili fossili russi è accelerare la nostra transizione verso fonti energetiche verdi. Ogni chilowattora di elettricità che l’Europa genera da energia solare, eolica, idroelettrica, da biomasse dal geotermico o dall’idrogeno verde ci rende meno dipendenti dal gas russo. Oggi il prezzo dell’energia solare ed eolica è più conveniente dei combustibili fossili inquinanti”, ha sottolineato von der Leyen che sembra aver assimilato la lezione, costata però un prezzo molto elevato: la guerra in Ucraina e le note conseguenze.
Intanto è stato fissato al 9 settembre il Consiglio dei ministri dell’energia, il prezzo del gas inizia scendere e nel governo italiano c’è cauto ottimismo sulla proposta di un tetto europeo al prezzo del gas (uno dei cavalli di battaglia di Mario Draghi), in particolare per la posizione di apertura giunta, oltreché da Bruxelles, anche da Berlino: l’esecutivo tedesco ha cambiato idea e si dice ora pronto a discuterne.
Resta, tuttavia, un problema. Su chi far ricadere i costi connessi all’introduzione di un ‘price cap’ al gas? Le possibilità sono tre: gli esportatori di gas trasportato via pipeline (tra cui Mosca), quindi non si considera quello liquido, trasferito via nave (non è detto che la misura colpisca la Russia che potrebbe decidere di portare a zero le già ridottissime forniture di gas all’Europa, sebbene il mercato europeo non sia al momento sostituibile da parte della Federazione), le aziende distributrici nei singoli paesi (ma sta emergendo la difficoltà da parte del governo italiano persino di incassare la recente imposta sugli extraprofitti), o i consumatori. Ci sarebbe una quarta opzione: i costi potrebbero ricadere sull'Europa, in una operazione non troppo dissimile da quella fatta con il Recovery Fund.
La soluzione più favorevole per i paesi europei sarebbe probabilmente quella di un tetto al prezzo del gas importato esclusivamente dalla Russia e di una destinazione prioritaria di questi volumi di gas a basso costo alle componenti fragili ed esposte della domanda. Il costo dell’operazione, ammesso che funzioni, non ricadrebbe sui contribuenti europei, ma sulle finanze dello stato russo.
In attesa della decisione finale, tra la speculazione, gli extraprofitti dei distributori nazionali di energia, il ruolo della Borsa di Amsterdam, il meccanismo di determinazione del prezzo dell’energia elettrica determinato da quello del gas, i fornitori esteri di energia non più affidabili di Mosca dal punto di vista geopolitico (ad esempio la filorussa Algeria), e l’inaccettabile presbiopia della classe politica capace di vedere solo il breve periodo, sembra comuqnue che il Vecchio continente stia lentamente, molto lentamente, prendendo coscienza che il ruolo della Federazione russa rappresenta solo una parte del problema nella complessa partita energetica.
Occorre infatti attaccare in modo molto più deciso di quanto fatto sino ad ora sulle rinnovabili, investendo massicciamente oggi non solo sull’installazione di nuovi impianti (eolici e solari in particolare) ma anche sull’intera filiera produttiva. Altrimenti, tra qualche tempo, potrebbe emergere l’ennesima dipendenza: ad esempio dalla Cina che è già leader nella produzione globale di pannelli solari. Certo, anche qualora i paesi europei diventassero indipendenti nella produzione di impianti verdi resterebbe comunque un aspetto non trascurabile: per la parte relativa alle risorse specialmente minerarie utilizzate la dipendenza da Pechino è un fatto ad oggi inevitabile.