“Le sanzioni che abbiamo imposto a Mosca hanno avuto un effetto dirompente sulla macchina bellica russa, e sulla sua economia”: lo ha detto il premier Mario Draghi all’assemblea generale dell’Onu, rispondendo così indirettamente a chi mette in discussione l’efficacia delle sanzioni a Mosca. “L’impatto delle misure - ha aggiunto - è destinato a crescere col tempo, anche perché alcune di esse entreranno in vigore solo nei prossimi mesi. Con un’economia più debole, sarà più difficile per la Russia reagire alle sconfitte che si accumulano sul campo di battaglia”.
Nei giorni scorsi la Commissione europea aveva evidenziato che “l’economia russa è a pezzi. Abbiamo tagliato i tre quarti del settore bancario russo dai mercati internazionali, quasi 1000 aziende internazionali hanno lasciato il territorio, import ed export sono in calo e la produzione di auto è diminuita del 75% rispetto allo scorso anno. Le nostre sanzioni stanno funzionando. E loro sono qui per restare”.
Se da un lato probabilmente è vero che nel medio e lungo periodo le sanzioni occidentali potrebbero rivelarsi molto pesanti per la Russia, è altrettanto vero che la ‘resistenza’ dell’economia della Federazione a 7 mesi dall’inizio della guerra in Ucraina sta andando ben oltre le stime iniziali della maggior parte degli economisti, che avevano in massa preconizzato un crollo quasi immediato e irreversibile per Mosca.
Al contrario, alcuni indicatori (spinti dal vertiginoso aumento dei prezzi energetici) evidenziano delle performance inattese da parte del paese più esteso al mondo, anche se i dati più recenti disegnano in realtà un quadro in lento (e secondo alcuni inesorabile) peggioramento per Mosca. Ad esempio, le entrate russe legate alla vendita di idrocarburi ad agosto sono infatti state le più basse degli ultimi 14 mesi. Il conseguente minor surplus commerciale (e le spese per la guerra) hanno così ridotto di ben 360 miliardi di rubli l’avanzo di bilancio di 500 mld accumulato nei primi sette mesi dell’anno. Per la strategia di Mosca si sta effettivamente per accendere la spia rossa della riserva?
A ciò occorre aggiungere l’effetto boomerang delle sanzioni stesse. Tra prestiti, salvataggi e nazionalizzazioni, gli aiuti complessivi sborsati dalla Germania nell’ultimo anno per far fronte alla crisi energetica ammontano a 100 miliardi di euro. Considerando tutta l’Unione Europea, questa cifra raggiunge i 450 miliardi euro: più di mezzo Next Generation EU. In termini relativi, 12 dei 27 Stati membri hanno finora speso almeno il 2% del proprio Pil in aiuti a famiglie e imprese alle prese con il caro bollette. In quattro Paesi - tra cui l’Italia - la spesa supera il 3%.
E altrove il conto è ancora più caro. Nel Regno Unito le misure già annunciate e quelle in preparazione da parte della neo premier Liz Truss ammontano infatti a quasi 180 miliardi di euro: il 6,5% del Pil domestico. Numeri che sembrano destinati a restare elevati un po’ ovunque nel Vecchio continente. A prescindere da un accordo (al momento improbabile) sul tetto ai prezzi del gas, difficilmente la spesa dei governi europei diminuirà. E la mobilitazione parziale dei riservisti annunciata da Putin prospetta tempi ancora più duri per l’energia.