La transizione digitale accelererà o frenerà quella ecologica?

In ballo c’è la leadership nella competizione tecnologica globale, ma anche in quella ambientale. Da un lato, le tecnologie digitali sono responsabili del 4% di tutte le emissioni di gas serra. Dall’altro, l’Ue detiene solo il 4% della catena di approvvigionamento globale di materie prime critiche utilizzate nella produzione di apparecchiature digitali

La transizione digitale accelererà o frenerà quella ecologica?

Da un lato, l’evoluzione tecnologica facilita l’efficientamento energetico. Allo stesso tempo, la data economy cresce in maniera esponenziale: sale il numero di dispositivi interconnessi e il suo impatto ambientale.

Se l’Ict (Information and Communication Technologies) fosse uno Stato sarebbe il quinto più inquinante al mondo. Attualmente le tecnologie digitali sono infatti responsabili del 4% di tutte le emissioni di gas serra.

L’abbattimento di questi numeri, oltre a rappresentare una necessità per l’ambiente, può diventare un fattore centrale nella competizione tecnologica globale.

Dall’estrazione delle materie prime all’assemblaggio, dalla distribuzione all’utilizzo e al trattamento di fine vita, ogni smartphone (a livello mondiale ce ne sono 6,6 miliardi) genera circa 90 kg di CO2.

Ecco perché la produzione e lo smaltimento di dispositivi tecnologici è una questione chiave. Eppure, attualmente solo il 17,4% dei rifiuti elettronici al mondo è riciclato.

Oltre ad evidenti motivazioni ambientali, politiche per incentivare l’utilizzo di dispositivi ricondizionati e riciclati potrebbero quindi anche rappresentare un piccolo passo per la sovranità tecnologica

E ciò è vero specialmente per l’Ue che detiene solo il 4% della catena di approvvigionamento globale di materie prime critiche utilizzate nella produzione di apparecchiature digitali.

Occorre, inoltre, considerare che ancora più inquinanti dei devices elettronici sono i dati digitali. Ad esempio, una mail da un solo megabyte consuma 20 grammi di CO2. Tutti questi dati occupano spazio in ‘data centers’ che richiedono per funzionare un enorme dispendio di energia (l’1% del consumo energetico globale).

Renderli, dunque, più sostenibili rappresenta una delle sfide su cui si gioca il futuro della transizione digitale. In tale contesto, l’Ue punta a liberarsi dalla dipendenza dai centri dati americani (il 90% dei dati dell’Unione sono gestiti da aziende statunitensi) in favore dell’edge computing (‘micro data centers’ capaci di elaborare e memorizzare dati critici localmente) comunitario e a impatto climatico zero.

Fattori economici e climatici che si intrecciano a quelli geopolitici. In ballo c’è la leadership nella competizione tecnologica globale, ma anche in quella ambientale.

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