L’Ue ha avviato l’indagine anti-sovvenzione sui veicoli elettrici alimentati a batteria (Bev) prodotti in Cina, come annunciato dalla presidente della Commissione europea lo scorso 13 settembre. Pechino ha espresso “forte insoddisfazione” per la misura.
L’industria automobilistica regionale in Europa impiega 13 milioni di lavoratori ed è fonte di ricavi per quasi 80 miliardi di euro l’anno. Dall’altro lato, lo Stato cinese influenza questo settore. Ma le strategie europee sembrano incerte: ha senso annunciare prima una rivoluzione del settore automobilistico, secondo cui dal 2035 non potranno più essere venduti veicoli endotermici, e poi aprire uno scontro commerciale con la Cina, principale esportatore al mondo di auto elettriche, batterie e materie prime?
In Cina l’auto elettrica più economica costa circa 5 mila dollari, in Italia non si scende sotto i 20 mila euro. Prezzi simili hanno contribuito a raddoppiare le vendite dei veicoli elettrici in Cina (5,9 milioni di unità vendute nel 2023, più del doppio rispetto a Europa e Stati Uniti), a far aumentare la produzione interna (entro il 2025 la produzione supererà la domanda locale di quattro volte) e a far diventare Pechino leader nelle esportazioni di auto elettriche (35 miliardi di dollari nella prima metà del 2023).
Il principale mercato di riferimento è diventato il Vecchio Continente, poiché alquanto arretrato in termini di transizione energetica e non dotato di materie prime. Nel 2022, l’Ue ha importato oltre mezzo milione di automobili di fabbricazione cinese, di cui il 63 per cento veicoli elettrici a batteria.
Dunque, è realistico pensare di rinunciare alla Cina? La risposta è ‘no’. Perciò la strategia proposta dall’Europa non può essere letta solo in termini economici. Innanzitutto, Washington è consapevole di quanto valga il settore automobilistico europeo nel mondo, conosce il ruolo chiave svolto dalla transizione energetica e vuole che Bruxelles si stacchi definitivamente da Pechino sull’elettrico. Esattamente come avvenuto con Mosca per l’energia.