E' l'opinione autorevole di Fadi Hassan, nato e cresciuto a Pavia da genitori siriani, professore di macroeconomia internazionale presso il Trinity College Dublin e research associate del Center for Economic Performance della London School of Economics.
Che piaccia o no, i dati demografici mostrano chiaramente come le pressioni migratorie siano destinate ad aumentare nei prossimi anni. E', dunque, importante imparare a gestire i flussi migratori, anziché subirli in modo passivo e viverli come una continua emergenza. Questo è il modo migliore per rendere l'immigrazione una risorsa e non una minaccia.
Innanzitutto, permettere alle persone di fare domanda di asilo da un paese terzo, senza dover arrivare qua, ci permetterebbe di gestire meglio i flussi migratori legati ai rifugiati.
Così come ci sono molti aspetti che potrebbero essere migliorati anche nella gestione dei migranti economici, ossia le persone che lasciano il paese d'origine per migliorare la propria condizione di vita. In Italia questo tipo d'immigrazione è regolata dal "decreto flussi" che ogni anno determina il numero di persone che possono essere ammesse nel territorio italiano per motivi di lavoro o di ricongiungimento familiare. Tuttavia questo sistema viene utilizzato principalmente per regolarizzare lavoratori stranieri che già risiedono e lavorano in Italia (e che sono arrivate clandestinamente), ma non è un sistema virtuoso di selezione di immigrati all'origine.
Una delle conseguenze è che l'Italia ha la quota più bassa di immigrati laureati dell'UE. Se prendiamo la popolazione tra i 25-54 anni, la fascia più attiva nel mercato del lavoro, solo il 12% degli immigrati è laureato (fra gli italiani siamo al 21%). In Germania gli immigrati laureati sono il 25%, in Francia il 33% e nel Regno Unito il 54%. Una politica d'immigrazione volta a selezionare ed attrarre talenti sarebbe un vantaggio per tutti.
La voce di quoted
L'Italia ha assoluto bisogno di un'immigrazione di qualità. Anziché preoccuparci troppo dei giovani italiani che cercano fortuna all'estero, non sarebbe forse meglio smetterla con approcci troppo difensivisti e concentrarci su come rendere il nostro mercato del lavoro più concorrenziale e meritocratico? Senza dimenticare che il lavoro non si crea grazie a interventi normativi e alle leggi, ma attraverso la crescita, che tradotto vuol dire soprattutto investimenti, istruzione e infrastrutture. D'altronde, volenti o nolenti, viviamo in un'economia globale. Pertanto, in tema di internazionalizzazione, sia le imprese, sia la pubblica amministrazione potrebbero ricevere numerosi benefici se i lavoratori operassero in ambienti multiculturali. Quando avremo anche noi, ad esempio, ingegneri indiani piuttosto che pakistani o siriani, che hanno fatto, insieme ad altri fattori, la fortuna della Silicon Valley?