Fino a due settimane fa la regione autonoma del Kurdistan iracheno era il rifugio sicuro per gli iracheni in fuga dalle violenze nel resto del paese. Ma gli scontri tra manifestanti e polizia a Sulaymaniyah, seconda città più grande della regione, si sono allargati ad altre sette città. Sull’esempio del sud iracheno i manifestanti curdi hanno dato alle fiamme le sedi del Partito democratico del Kurdistan (Pdk) e dell’Unione patriottica del Kurdistan (Upk), i due principali partiti della regione.
A far scattare la scintilla è stata la protesta degli impiegati pubblici nel centro di Sulaymaniyah, che manifestavano per il mancato pagamento dei loro stipendi, in arretrato di 45 giorni, che vanno ad aggiungersi ai sei mesi di salari non pagati dello scorso anno.
Il governo regionale del Kurdistan attribuisce la responsabilità di questa situazione al governo centrale di Baghdad e sostiene che le proprie entrate derivanti dalle vendite di petrolio e dai valichi di frontiera siano sufficienti a coprire circa il 60% del bilancio.
E già si registrano manifestanti uccisi e numerosi arresti: la pace nella regione autonoma curda comincia a scricchiolare.