Resta alta la tensione dopo le esercitazioni militari cinesi attorno all’isola di Taiwan. Le operazioni – durate tre giorni e conclusesi l’11 aprile – erano state decise in risposta al recente incontro a Los Angeles tra la presidente di Taipei, Tsai Ing-wen, e lo speaker della Camera americana, Kevin McCarthy.
Pechino ha simulato attacchi di precisione e blocchi intorno all’isola, inviando dozzine di aerei e navi da guerra. E se Mosca ha fatto sapere di sostenere le operazioni cinesi, le Filippine hanno dato il via sempre l’11 aprile a manovre militari congiunte con gli Stati Uniti nel Mar Cinese Meridionale, che Pechino rivendica quasi interamente. A causa delle tensioni nell’area, intanto, anche il Giappone ha annunciato di aver mobilitato i propri velivoli da combattimento.
Movimenti che dimostrano come la piccola isola, popolata da 24 milioni di persone, che si trova ad appena 180 km dalle coste cinesi e con un Pil da paese del G20, sia sempre più al centro di un confronto serrato a livello globale. Taiwan è infatti il più grande produttore di chip al mondo, e il suo ruolo è considerato cruciale nella catena di approvvigionamento dei semiconduttori su scala mondiale. Un’industria che – secondo Bloomberg – vale più di 500 miliardi di dollari.
A questo punto, lo scontro armato è ormai un’opzione realistica, anche perché al momento sembra non esistere una buona soluzione. La scadenza cruciale arriverà nel gennaio 2024, quando si terranno le elezioni presidenziali e legislative a Taiwan: solo dopo quell’appuntamento elettorale, Pechino probabilmente deciderà se invadere o meno quello che il settimanale ‘The Economist’ ha definito qualche anno fa “il luogo più pericoloso al mondo”.