All’arresto di Vladimir Putin, come disposto l’anno scorso dalla Corte penale internazionale (Cpi) nei confronti del presidente russo, al suo arrivo a Ulan Bator il 3 settembre probabilmente non ci ha mai creduto nessuno.
Eppure la Mongolia è uno dei paesi firmatari dello statuto di Roma che ha istituito la Cpi, dunque le autorità avrebbero dovuto eseguire il mandato d’arresto.
Occorre considerare, tuttavia, che il territorio mongolo si trova tra la Russia e la Cina, e il governo si preoccupa di non creare conflitti con i due vicini ingombranti.
Quanto accaduto in Mongolia evidenzia che la Cpi non sembra disporre di mezzi all’altezza delle sue funzioni. A dire il vero il meccanismo è apparso difettoso fin dalle origini, visto che paesi come Stati Uniti, Russia, Cina e Israele non hanno mai firmato il trattato di Roma. Una qualche forma di giustizia, dunque, esiste ma solo per gli altri.
Detto ciò, sebbene il mandato d’arresto nei confronti di Putin non impedisca al presidente russo di portare avanti la sua guerra in Ucraina né di spostarsi all’estero, resta una spada di Damocle per il capo del Cremlino.