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Gli Stati Uniti pesavano per il 30% del Pil del pianeta nel 1999, sono scesi al 21% dopo la Grande Recessione, ma l’anno scorso erano già tornati sopra il 26%. Per avere un termine di paragone, il peso relativo degli attuali 27 Paesi dell’Ue è costantemente sceso da circa il 25% nel 1999, al 13,4%.
Allo stesso tempo, gli Usa rappresentano uno dei grandi miracoli tecnologici e finanziari della storia: oltre 40 mila miliardi di valore azionario creato nello S&P500 di Wall Street in un quarto di secolo e, per la prima volta, sette aziende innovative che da sole arrivano a capitalizzare più di un terzo di quel totale.
Ma in questi due decenni il deficit e il debito americano sono cresciuti costantemente. Per esempio, l’economia mondiale nel 1999 ha generato poco più di mille miliardi nominali di crescita (inflazione inclusa) e il Tesoro americano ha avuto bisogno di 121 miliardi di prestiti in più: appena l’11% della crescita mondiale – Usa inclusi – bastava a finanziare il governo degli Stati Uniti a rendimenti bassi e sostenibili. Ma negli ultimi anni questa proporzione è cresciuta stabilmente sopra al 50%.
L’America ha bisogno di aspirare sempre più soldi dal resto del mondo per tamponare i propri squilibri. Nel 2023 l’economia mondiale ha generato 4.990 miliardi di dollari di crescita lorda – dunque di nuovo risparmio – ma il governo americano ha avuto necessità di 3.128 miliardi di prestiti supplementari.
Ora i nuovi tagli alle tasse promessi da Trump minacciano di peggiorare le cose. Il problema del presidente è di cooptare con l’intimidazione gli altri Paesi per finanziare a costi accettabili i crescenti squilibri americani. La superpotenza è vulnerabile. E lo sa.
Ecco perché, senza Trump, l’Europa si sarebbe comunque trovata dov’è oggi: spalle al muro, obbligata a diventare un’entità politica. L’America prima o poi si sarebbe ritirata comunque (alla luce di altre emergenti impellenze, soprattutto economiche) dai suoi impegni in Europa, anche se Trump lo fa nel suo modo traumatico.