Mercati aperti tra Cina ed Africa

I leader africani in visita a Pechino per il Forum sulla cooperazione

Mercati aperti tra Cina ed Africa

“Il più grande vertice di tutti i tempi, un evento di portata globale”. A dirlo è il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, riferendosi al Forum sulla cooperazione Cina-Africa (Focac) organizzato a Pechino il 3 e 4 settembre. Tant’è che da settimane i media di stato cinesi propagandano l’evento esaltando i vantaggi di una cooperazione tra la seconda economia al mondo e l'Africa.

La Cina, osserva Shen Xiaolei, dell'Institute of West Asian and African Studies di Pechino, rappresenta il principale partner commerciale dell’Africa; e lo dimostra il numero di viaggi già fatti dal presidente cinese Xi Jinping nel continente (ben quattro e in diversi paesi, più di ogni altro presidente cinese).

Non solo. È il ritmo di crescita degli scambi ad essere impressionante: secondo la Conferenza delle Nazioni Unite per il Commercio e lo Sviluppo (Unctad), il volume d’affari tra i due big a partire dal 2000 è cresciuto di venti volte, passando da 10 a 200 miliardi di dollari in 17 anni. A differenza di quelli con Europa e Stati Uniti, che sono rimasti pressoché invariati.

Anche gli africani sembrano soddisfatti. Per il ministro dell'Economia della Liberia, Augustus Flomo, “la Cina è un partner molto, molto importante per la strategia di sviluppo”, riferendosi in particolare alla modernizzazione del sistema sanitario e delle infrastrutture. E il presidente del Kenya, Uhuru Kenyatta, auspica mercati aperti tra Cina e Africa. “Noi africani - dice - non dobbiamo isolarci: una politica protezionistica avrebbe un esito negativo per il paese nel lungo periodo”.

Ma c’è un rovescio della medaglia. Ed è il rischio delle esportazioni di beni a basso costo. Ad evidenziarlo è, fra gli altri, Robert Kappel, economista all'Università di Lipsia: il libero scambio promosso da Kenyatta contribuirebbe alla graduale distruzione dell'industrializzazione nei paesi africani. Oltre a determinare una crescente dipendenza dal credito cinese: i progetti finanziati dagli asiatici devono infatti essere rimborsati, creando un debito diretto.

E c’è, infine, un risvolto politico: sebbene la Cina affermi di non condizionare gli affari interni, in realtà la sua influenza, anche se indiretta, si fa sentire. Basti pensare che tutti i paesi africani, ad eccezione dello Swaziland, hanno tagliato i ponti con Taiwan cooperando unicamente con la Repubblica popolare cinese.

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