Il dipartimento di Giustizia statunitense ha formalizzato oltre una ventina di capi d'accusa contro il colosso cinese delle telecomunicazioni, la sua controllata americana e la vice presidente Meng Wanzhou, attualmente in libertà vigilata in Canada per spionaggio industriale e violazione delle sanzioni contro l'Iran. Durissima la reazione di Pechino, che ha bollato l’iniziativa del dipartimento Usa come un tentativo politico di infangare la reputazione e attaccare un'azienda cinese.
In ogni caso è il passo che precede la richiesta di estradizione (scadenza dei termini per la richiesta Usa: 30 gennaio) della manager, figlia del fondatore Ren Zhengfei. Meng, attraverso una controllata chiamata Skycom con cui avrebbe simulato di non avere legami, sarebbe riuscita a tessere relazioni commerciali con il regime iraniano sotto embargo. Inoltre, il colosso cinese avrebbe cercato di rubare tra il 2012 e il 2013 al cliente americano T-Mobile una tecnologia per testare il funzionamento dei cellulari.
Oggi Huawei è cesciuta ed è diventata leader mondiale nella tecnologia 5G, che secondo l’amministrazione Trump potrebbe essere utilizzata per rubare segreti di Stato, brevetti industriali, e perfino spegnere infrastrutture strategiche e militari. “Huawei leader mondiale”. In realtà è questo lo spettro che agita gli Stati Uniti. Ecco perché Washington sta provando a convincere gli alleati Nato che qualsiasi vantaggio derivante dall'uso di apparecchiature cinesi più economiche di altre è superato dalla minaccia alla sicurezza dell'alleanza Nato.
Il paradosso è che al momento le accuse statunitesi non sono state dimostrate. Appare, invece, chiaro che il potere dominante sul mondo si sente messo in pericolo da un altro potere emergente. E si difende come può, come il caso Meng Wanzhou dimostra.