Per capire perché l'amministrazione Trump stia faticando nel costruire una coalizione globale di alleati nella sua guerra commerciale con la Cina, occorre andare sulle dolci colline delle coste australiane a sud-est e sud-ovest. Qui ci sono vigneti un tempo apprezzati dagli statunitensi. Poi qualcosa è cambiato. Dal 2008, le esportazioni di vino australiano negli Stati Uniti sono diminuite del 37%, mentre quelle verso la Cina sono aumentate del 959%.
È un segnale che evidenzia un trend. In tutto il mondo, gli alleati di lunga data di Washington stanno progettando un ordine globale in cui gli Stati Uniti non siano più il centro di gravità permanente, citando una nota canzone di Franco Battiato. Nonostante le frustrazioni occidentali di dover comunque interagire con la Cina, la pura logica della geografia economica si sta dunque dimostrando più significativa delle alleanze storiche.
La tensione è evidente in molti paesi con profondi legami economici con gli Stati Uniti, tra cui Corea del Sud, Giappone e Germania. Ma forse da nessuna parte lo strappo è più evidente che in Australia - a lungo uno dei più stretti alleati degli Usa - che ora ha scoperto nella Cina il suo più grande mercato di esportazione.
L'Australia sta cercando di navigare nell'economia mondiale come un paese di medie dimensioni mantenendo buoni rapporti con entrambe le superpotenze. Confida negli Stati Uniti come alleato in materia di sicurezza nazionale, ma sa anche che il suo futuro economico, e il presente, sono legati alla Cina.
La crescita della seconda economia al mondo negli ultimi tre decenni è stata alimentata anche grazie allle materie prime australiane - ferro, carbone e gas naturale - che hanno contribuito a fornire linfa vitale all'espansione economica della Cina negli ultimi tre decenni. Ma c'è anche altro. Ci sono soprattutto 165 mila studenti cinesi nelle università australiane, una fonte di entrate cruciale per il paese australe. E anche il mercato immobiliare è stato spinto dagli acquirenti cinesi.